Il Regno delle Due Sicilie venne annesso al Regno di Sardegna dopo l'esito di un plebiscito (il 21 ottobre 1860) in cui non fu generalmente garantita la segretezza del voto ed al quale partecipò solo una minima parte degli elettori. Nella capitale ad esempio si ebbero seggi presieduti da bersaglieri, carabinieri e garibaldini o, come nel seggio della Vicaria e Pendino, anche da esponenti della camorra, che tollerati dal neoprefetto Liborio Romano, "invitavano" gli elettori a votare per l'annessione.
Furono chiuse antiche cave d'argento per favorire i francesi. Furono chiuse le ricche fabbriche manufatturiere e l'industria fiorente del baco da seta per favorire quelle del settentrione. Furono chiusi i bacini navali in cui si fabbricavano prestigiosi battelli (il primo a vapore fu realizzato nel Regno) per favorire i cantieri liguri. Non si dette seguito alla costruzione delle ferrovie che avevano (con la Napoli-Portici)iniziato i Borboni. In Sicilia, che era da secoli il granaio d'Europa e che dai suoi porti faceva partire prodotti agricoli ed agrumi per tutta l'Europa, si boicottarono i trasporti non facendo più giungere le mercanzie ai porti che in breve tempo persero la loro secolare importanza mercantile. Fu introdotta la carta moneta, (dal 1866 a corso forzoso) al posto degli scudi in oro. Furono inviati poliziotti settentrionali che non capivano il dialetto e gli usi e costumi secolari dei meridionali e che furono visti come "truppa d'occupazione". Fu reintrodotta la tassa sul macinato (pur tolta da Garibaldi), cioè sul pane, che era l'elemento essenziale per la sopravvivenza dei poveri. Fu introdotta una tassa sul sale e sui tabacchi che la Sicilia esportava in tutto il mondo, introducendo il monopolio di stato. Ebbero luogo sommosse popolari dei ceti affamati che furono anche ferocemente spente dalla polizia del nuovo Regno d'Italia.
Il brigantaggio insanguinò le province meridionali per tutto il primo decennio di vita dello stato unitario e i caduti furono molte migliaia in entrambi gli schieramenti. Si pensi che, almeno sino al 1865, i due terzi dei reparti del neoformato Esercito Italiano (circa 120,000 uomini) furono impiegati nella repressione della rivolta meridionale. Basti pensare che fino al 1870 fu dichiarato lo stato d'assedio per ben 8 volte per reprimere quelli che vennero tuttavia definiti "quattro straccioni di briganti" che ancora non volevano arrendersi al nuovo re.
Poco dopo l'annessione fu introdotta la leva obbligatoria fino ai 40 anni (sino ad allora il servizio militare nel regno era a ferma volontaria) e questo fece sì che molti giovani si dessero alla diserzione o andassero ad ingrossare le fila dei "briganti". Un forte inasprimento degli scontri arrivò nell'agosto del 1863 con la famigerata Legge Pica, che per far fronte alle rivolte nel meridione riporto la legge marziale, i processi militari e le deportazioni di molti "briganti" verso il nord del Paese e in particolar modo nella fortezza di Fenestrelle in Piemonte, da cui molti non fecero più ritorno.
Gli eccessi che si verificarono in particolare da parte dell'esercito regolare nei confronti della popolazione civile, diversamente da quanto accaduto per la coeva Guerra di secessione americana, non sono stati oggetto di una vera elaborazione critica per almeno 80 anni, in pratica sino alla fine della II guerra mondiale.
Molti furono i paesi e le città che diedero un contributo in vite umane. Da ricordare sicuramente il massacro di Bronte da parte di garibaldini comandati da Nino Bixio, di Isernia dove furono mostrate le teste mozzate e racchiuse in una gabbia di 4 briganti, San Lupo, Casalduni e Pontelandolfo che furono quasi rasi al suolo dai bersaglieri.
Questa rimozione della memoria storica ha condizionato pesantemente, insieme alle dinamiche economiche e politiche del nuovo stato italiano, il formarsi di un comune sentire nazionale ed è stato per lungo tempo fonte di incomprensioni e rancori tra le diverse anime del Paese.
Alla crisi contribuì inoltre l'incameramento delle casse del Banco delle Due Sicilie (443 milioni di Lire-oro, all'epoca corrispondenti
ad oltre il 60% del patrimonio di tutti gli Stati italiani messi insieme)
da parte di quelle esauste del Piemonte, indebolite drammaticamente anche dalla guerra di unificazione. Lo stesso istituto di credito fu poi scisso in Banco di Napoli e Banco di Sicilia.