2009-08-18

La presenza ebraica in Sicilia

La Sicilia, nella sua lunga storia, è stata abitata e conosciuta da tanti popoli. Gli ebrei, nella loro lunga storia hanno conosciuto ed abitato tante terre... Eppure pochi "incontri" furono così felici come quello fra l'isola mediterranea ed il popolo d'Israele. Per oltre quindici secoli gli ebrei abitarono la Sicilia, in pace e prosperità, e di quella presenza restano ancora molti segni, nella memoria e nella cultura di entrambi i popoli. Per questo è giusto ricordare, ripensare al passato per comprendere il futuro...
Ma è nella seconda metà del XV secolo che la situazione inizia a precipitare, scoppiano sporadici casi di antisemitismo e la rapacità dei monarchi spagnoli aumenta come l'aggressività antiebraica della chiesa cattolica. Il re di Aragona, Ferdinando, sposa la regina di Castiglia, Isabella, facendo nascere il regno di Spagna, che si lancerà nella "Reconquista" dell'ultimo dominio arabo in Spagna, quello di Granada (anch'esso indebolito da problemi e rivalità interne). Nel 1492, pressati dall'arroganza e dall'intolleranza della chiesa cattolica (guidata in Spagna dal famigerato inquisitore Torquemada) e spinti altrettanto dal desiderio di impossessarsi dei notevoli patrimoni degli ebrei che risiedevano nei loro domini, i sovrani emanano il drammatico editto di espulsione, che fu preceduto da una breve ma intensa campagna di odio (la ciclicità della storia riporterà un fenomeno simile nel '900, quando il governo fascista farà precedere le sue "leggi razziali" da una violenta campagna di diffamazione degli ebrei). Tutti gli ebrei avevano tre mesi per lasciare il regno, abbandonando i loro averi (che furono accuratamente catalogati per potersene impossessare) e la terra in cui da secoli vivevano prosperamente. Altrimenti erano obbligati alla conversione al cattolicesimo, dove peraltro erano soggetti ad un regime assai diverso da quello degli altri cattolici: il termine con cui erano indicati ("marranos" cioé maiali, in ebraico erano detti "anussim") dimostra chiaramente come la loro condizione fosse estremente dura ed ingiusta. Centinaia di migliaia di ebrei spagnoli furono costretti ad emigrare verso altre terre (paesi arabi, Europa centro-settentrionale). ................
Gli studiosi calcolano che lasciarono la Sicilia circa 40mila persone, alla volta della Grecia (dove nacquero delle "Schole" siciliane), del Regno di Napoli (in cui esisteva già una cospicua presenza ebraica, anche lì, pochi decenni dopo venne decretata l'espulsione), di Roma (anche lì nacque una Schola siciliana, una delle cinque del ghetto dell'Urbe, sopravvissuta fino al XIX sec.) e dell'Italia centrale e, in misura minore, verso altri luoghi (paesi arabi, Balcani). Coloro che rimasero subirono pesanti discriminazioni patrimoniali e giuridiche, nonostante le quali (e nonostante l'ossessiva pressione degli inquisitori) in tanti continuarono a praticare in segreto il culto giudaico.

Con la conquista spagnola di Tripoli, nel 1510, molti ebrei fatti prigionieri furono venduti come schiavi in Sicilia creando un paradossale e tragico "ritorno". Della loro sorte si sa abbastanza poco, anche se l'argomento è oggi all'attenzione di diversi studiosi. ............

Nonostante tutto, qualcuno ancora oggi, dice che la Sicilia è un po' la "seconda Israele"... Ad oggi non esiste una comunità ebraica in Sicilia, seppure sono presenti diverse famiglie ed anche alcune organizzazioni israelitiche, ma la memoria della presenza giudaica è tutt'altro che scomparsa: dalla gastronomia a talune espressioni dialettali, da alcune tradizioni dell'artigianato fino al vero, grande, dono che gli ebrei hanno lasciato alla Sicilia: la vocazione alla tolleranza e al rispetto delle diversità.

http://www.geocities.com/siciliajudaica/main.html

Rom siciliani

Giostrai, stagnini, ombrellai affollano le feste di paese e sono italiani a tutti gli effetti. Non vogliono essere chiamati rom. Ma conservano il vecchio spirito nomade.
In un panorama così ampio, c’è chi rifiuta d’essere assimilato ai rom. Sono i caminanti di Noto, un gruppo "invisibile" di girovaghi siciliani, continuatori di un’antica tradizione incentrata sulla parola, il canto e le leggende. Questa frangia etnica ben radicata nel territorio cerca di far valere la propria identità popolare, ricordando a tutti come la parola "rom" abbia un significato ben diverso dall’uso oggi in voga, e sia semplicemente la traduzione di "uomini liberi".
I giramondo di Noto negano d’essere "zingari" di professione, nonostante sia impresso su di loro come un marchio il destino di un popolo ramingo, fatto di venditori e riparatori ambulanti, tutti "camminanti", nel nome e di fatto.
Discendenti dei nomadi sbarcati in Sicilia alla fine del Trecento, al seguito dei profughi Arberes’h, i caminanti hanno mantenuto intatta l’originaria organizzazione familiare, sotto la guida di un capogruppo più anziano e con matrimoni stabiliti all’interno della comunità, un’unica e grande famiglia. «Sono nato così», ricorda uno di loro, «quando ero bambino e vedevo i figli di chi stava al campo, mio padre mi diceva che eravamo tutti parenti».
Sono considerati i più grandi camminatori della storia, disseminati nel ventaglio tra Catania, Agrigento e Siracusa, ma durante l’inverno affollano uno storico quartiere di Noto, che porta il loro nome. I "siciliani erranti" sono gli ultimi eredi di una cultura fondata sul movimento, ma hanno fatto proprie le tradizioni locali, favorendo la nascita di una mescolanza variopinta di stili di vita.
«Ci basta avere per tetto il cielo e il fuoco per riscaldarci, ma non siamo zingari», continuano, «siamo siciliani e somigliamo alle rondini, perché viviamo liberi». Negli anni ’50 i caminanti salivano in cima alle montagne a dorso di mulo, oggi si spostano alla guida di roulotte attrezzate, una scelta che li accomuna agli altri rom. La Sicilia rimane, però, la loro regione d’appartenenza, l’Italia è la vera patria, anche perché vi abitano da decine d’anni, mantenendo diritto di voto e cittadinanza

2009-08-17



2009-03-02

Banco di Napoli e Banco di Sicilia

Il Banco di Napoli è una delle più importanti e più antiche banche storiche italiane, in quanto le sue origini risalgono ai cosiddetti banchi pubblici dei luoghi pii, sorti a Napoli tra il XVI e il XVII secolo, in particolare ad un Monte di Pietà fondato nel 1539 per concedere prestiti su pegno senza interessi, il quale nel 1584 aprì una cassa di depositi, riconosciuta da un bando del viceré di Napoli nello stesso anno.

Altri sette istituti simili vennero successivamente fondati in Napoli tra il 1587 ed il 1640. Dopo circa due secoli di attività indipendente tra di loro, un decreto di Ferdinando IV di Borbone porta all'unificazione degli otto istituti esistenti in un'unica struttura che viene denominata Banco Nazionale di Napoli.

Seguendo i cambiamenti politici che hanno caratterizzato il XIX secolo a Napoli e nell'Italia meridionale, anche il Banco di Napoli muta denominazione e struttura. Nel tempo sono cambiate anche le sedi della banca che, dall'originaria sede del Monte di Pietà sita in via S. Biagio dei librai in pieno Centro storico di Napoli, a partire dal secolo XIX trova la sua finale collocazione nel nuovo Palazzo del Banco di Napoli in via Toledo.

Passando dal regno dei Borbone a quello di matrice napoleonica, il re di Napoli Gioacchino Murat tenta di trasformare il Banco in una società per azioni analoga alla Banca di Francia e crea il Banco delle Due Sicilie, destinato ad avere le stesse funzioni attraverso la Cassa di Corte e la Cassa dei Privati.

Nuovi cambiamenti avvengono nel 1861 con l'Unità d'Italia, mutamenti che segnano da un lato la nascita della denominazione Banco di Napoli e dall'altro l'espansione dell'istituto, con la creazione di una Cassa di risparmio, successivamente incorporata, e con l'apertura delle prime filiali fuori dall'area meridionale, in particolare a Firenze (1867), Roma (1871) e Milano (1872). Risale inoltre a questo periodo la creazione di una sezione di Credito Agrario, che ebbe primaria importanza nel finanziare lo sviluppo dell'agricoltura nell'Italia meridionale e la sua specializzazione nelle colture viticole ed agrumicole.

Un'altra svolta storica per l'istituto avviene nel 1901, quando viene avviata la prima attività all'estero: un ufficio a New York per agevolare le rimesse degli emigranti, trasformato in agenzia a tutti gli effetti nel 1909.

Dopo essere stato per molti anni anche istituto di emissione, il 6 maggio 1926, a seguito del passaggio della funzione alla Banca d'Italia, assume la qualifica di Istituto di credito di diritto pubblico e anche un maggior ruolo nello sviluppo del Mezzogiorno; in particolare dopo la crisi del 1929 assume un ruolo importante nel salvataggio delle diverse banche locali nel Sud italia. Nel 1931, primo fra le banche italiane, si dota di un Ufficio Studi per seguire l'economia del proprio territorio creando anche una propria rivista, la Rassegna economica, ancora in essere e oggi gestita dall'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, che ha ereditato il patrimonio informativo e di competenze del vecchio Ufficio studi. Lo status di Istituto di diritto pubblico sarà mantenuto fino al 1991 quando, in osservanza della cosiddetta Legge Amato, viene trasformato in Società per azioni dando origine anche all'Istituto Banco di Napoli - Fondazione, a cui viene trasferito l'importante archivio storico che va dal XV secolo ad oggi.

Negli ultimi anni del XX secolo e nei primi anni del XXI, il Banco di Napoli ha attraversato una fase difficile, con sofferenze pesanti e conseguenti difficoltà finanziarie dovute principalmente alla commistione dei vertici con i poteri politici dell'epoca. A seguito all'azzeramento del Capitale Sociale, la Banca è stata acquistata per una cifra irrisoria (60 miliardi di Lire, circa 30 milioni di Euro) da parte della cordata composta dalla BNL Banca Nazionale del Lavoro e dall'INA Istituto Nazionale delle Assicurazioni. Dopo circa due anni di gestione ulteriormente penalizzante e dai risultati operativi estremamente deludenti, la cordata BNL/INA ha ceduto la Banca al gruppo Sanpaolo IMI, che ha acquistato la proprietà della Banca per una cifra vicina ai 6.000 miliari di Lire, mutandone la denominazione in Sanpaolo Banco di Napoli S.p.A. e dotandola di un Capitale Sociale di 800.000.000 di Euro. Nel contempo la Bad Bank, istituita per il recupero dei crediti in sofferenza, ha provveduto a rientrare di circa il 94% delle esposizioni che appena 6 anni prima avevano decretato la fine di uno dei più antichi e prestigiosi Istituti di Credito italiani. A seguito delle ultime operazioni societarie di fusione del Gruppo Sanpaolo IMI nel gruppo INTESA, avvenute nel 2006, al Sanpaolo Banco di Napoli è stato demandato il compito di presidiare le quattro regioni meridionali della Campania, Puglia, Basilicata e Calabria. Dall'8 giugno 2007, a seguito di una delibera dell'Assemblea dei soci, la Banca ha nuovamente assunto la denominazione di Banco di Napoli S.p.A.

BANCO DI SICILIA
Il Banco di Sicilia è uno dei più antichi istituti di credito d'Italia. È oggi parte del gruppo bancario Unicredit. Opera con oltre 500 sportelli su tutto il territorio nazionale, con una posizione di preminenza in Sicilia.
Il banco viene fondato nel 1849 con l'unificazione della Cassa di Corte di Palermo e della Cassa di Corte di Messina, separatesi dal Banco delle Due Sicilie in seguito ai moti rivoluzionari del 1848-1849, con la denominazione di Banco Regio dei Reali Domini al di là del Faro. Assume la denominazione attuale nel 1860.

Nel 1867, nell'Italia ormai unificata, viene riconosciuto con legge quale istituto di emissione, funzione che manterrà fino alla riforma bancaria del 1926, che ne farà uno degli "istituti di diritto pubblico". Sono gli anni (1862-1893) in cui il Banco viene guidato da Emanuele Notarbartolo.

Nel 1870 il Banco viene autorizzato all'apertura di nuove filiali, sia in Sicilia (Catania, Agrigento, Trapani, Siracusa e Caltanissetta) sia nella penisola (Napoli, Firenze e Torino). Successivamente molte altre succursali vennero aperte facendolo divenire uno dei principali istituti creditizi nazionali.

Fra il 1927 ed il 1958 videro la luce le sezioni speciali di credito minerario, industriale, fondiario e delle opere pubbliche, che si univano a quella per il credito agrario (istituita nel 1883).

Con la riforma del 1990 diventa una Società per azioni di proprietà dell'omonima Fondazione bancaria. Gli anni '90 saranno segnati da un pesante processo di riorganizzazione e risanamento per liberare l'istituto dall'eccessiva incidenza delle sofferenze bancarie e dagli alti costi d'esercizio. Il Banco viene ricapitalizzato, con un significativo ingresso nel capitale sociale, dalla Regione Siciliana nel 1992 e nel 1997 acquisisce le attività e passività della Sicilcassa in liquidazione. Sempre nel 1997 entra nel capitale il Mediocredito Centrale, banca d'investimento allora di proprietà del Ministero del Tesoro. Con la privatizzazione, nel 1999, del Mediocredito, il Banco entra nell'orbita della Banca di Roma.

Nel 2002 il gruppo bancario viene riorganizzato: si fondono gli istituti preesistenti dando vita al gruppo Capitalia. Le attività bancarie vengono trasferite al Banco di Sicilia Spa, controllato al 100% da Capitalia Spa.

La fusione Capitalia-Unicredit, diventata operativa dal 1º ottobre 2007, ha portato a una nuova strategia. Il nuovo gruppo in Sicilia sarà presente con il marchio Banco di Sicilia e nel quale confluiranno tutti gli sportelli Unicred