2008-09-13

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2008-09-07

Napoli prima dell'unità d'Italia

Quando, nel 1750, i possedimenti passarono ai Borbone di Napoli, San Leucio divenne sede delle seterie reali. Il re Carlo III, pensò di formare i giovani del luogo mandandoli in Francia ad apprendere l'arte della tessitura, per poi lavorare negli stabilimenti reali.
Venne così costituita nel 1778, una comunità nota come Real Colonia di San Leucio, basata su uno statutoapposito del 1789 che stabiliva leggi e regole valide per questa comunità.
I lavoratori delle seterie usufruivano, infatti, di diversi benefici: veniva loro assegnata una casa all'interno della colonia, usufruivano di formazione gratuita e qui il re istituì la prima scuola dell'obbligo d'Italia femminile e maschile che includeva discipline professionali, e le ore di lavoro erano 11, mentre nel resto d'Europa erano 14.
Le abitazioni furono progettate tenendo presente tutte le regole urbanistiche dell'epoca, per far sì che durassero nel tempo (infatti ancora oggi sono abitate) e fin dall'inizio furono dotate di acqua corrente e servizi igienici.
Le donne ricevevano una dote dal re per sposare un appartenente della colonia, anche se a disposizione di tutti vi era una cassa comune "di carità", dove ognuno versava una parte dei propri guadagni.
Non c'era nessuna differenza tra gli individui qualunque fosse il lavoro svolto, l'uomo e la donna godevano di una totale parità in un sistema che faceva perno esclusivamente sulla meritocrazia. Era abolita la proprietà privata, garantita l'assistenza agli anziani e agli infermi, ed era esaltato il valore della fratellanza.
Si trattò di un esperimento sociale, nell'età dei lumi, di assoluta avanguardia nel mondo, un modello di giustizia e di equità sociale raro nelle nazioni del XVIII secolo e non più ripetuto così genuinamente nemmeno nelle successive rivoluzioni francese e marxista (Oggi SanLeucio e' un bene protetto dall ' UNESCO e Patrimonio dell ' umanita')
Nel 1743 a Napoli, durante la dominazione borbonica il re Carlo e sua moglie, la regina Maria Amalia di Sassonia fondano all'interno della famosa Reggia di Capodimonte, oggi Museo, la Real Fabbrica dando inizio ad una tradizione che non è mai finita. La porcellana che si produce in questa zona ha delle caratteristiche peculiari he la contraddistinguono dalla porcellana nord europea.
Al sud Italia ,infatti, non c'è il caolino pertanto l'impasto si compone di una fusione di varie argille provenienti dalla cave del sud miste al feldspato. Ne deriva un impasto tenero che da origine ad un nuovo stile.
Il periodo di massimo splendore di questa fabbrica si è avuto nel ventennio tra il 1780 ed il 1800 nasce una vera e propria Scuola d'Arte e vengono prodotti sontuosi servizi da tavola e prezioso vasellame che sono tutt'oggi conservati nel Museo di Capodimonte.
Con l'Unità d'Italia e la fine della monarchia segue un periodo di decadenza (che ne ha determinato la NON industrializzazione)
Quando, nel 1750, i possedimenti passarono ai Borbone di Napoli, San Leucio divenne sede delle seterie reali. Il re Carlo III, pensò di formare i giovani del luogo mandandoli in Francia ad apprendere l'arte della tessitura, per poi lavorare negli stabilimenti reali.
Venne così costituita nel 1778, una comunità nota come Real Colonia di San Leucio, basata su uno statuto apposito del 1789 che stabiliva leggi e regole valide per questa comunità.
I lavoratori delle seterie usufruivano, infatti, di diversi benefici: veniva loro assegnata una casa all'interno della colonia, usufruivano di formazione gratuita e qui il re istituì la prima scuola dell'obbligo d'Italia femminile e maschile che includeva discipline professionali, e le ore di lavoro erano 11, mentre nel resto d'Europa erano 14.
Le abitazioni furono progettate tenendo presente tutte le regole urbanistiche dell'epoca, per far sì che durassero nel tempo (infatti ancora oggi sono abitate) e fin dall'inizio furono dotate di acqua corrente e servizi igienici.
Le donne ricevevano una dote dal re per sposare un appartenente della colonia, anche se a disposizione di tutti vi era una cassa comune "di carità", dove ognuno versava una parte dei propri guadagni.
Non c'era nessuna differenza tra gli individui qualunque fosse il lavoro svolto, l'uomo e la donna godevano di una totale parità in un sistema che faceva perno esclusivamente sulla meritocrazia.
Era abolita la proprietà privata, garantita l'assistenza agli anziani e agli infermi, ed era esaltato il valore della fratellanza. Si trattò di un esperimento sociale, nell'età dei lumi, di assoluta avanguardia nel mondo, un modello di giustizia e di equità sociale raro nelle nazioni del XVIII secolo e non più ripetuto così genuinamente nemmeno nelle successive rivoluzioni francese e marxista (Oggi SanLeucio e' un bene protetto dall ' UNESCO e Patrimonio dell ' umanita')

La Napoli-Portici fu la prima linea ferroviaria costruita in Italia. Il giorno della sua inaugurazione, il 3 ottobre 1839, era costituita da un unico binario che si snodava per 7,250 chilometri. Al pari del primo faro portuale italiano

Il cantiere navale di Castellammare di Stabia, fondato nel 1783, è la più antica industria italiana, nonché il più antico e longevo cantiere navale d'Italia: ancora oggi rappresenta un tassello importante nel economia stabiese. Sempre all'avanguardia verso le nuove tecnologie che nel corso degli anni si sono sviluppate, questo cantiere ha visto la nascita di numerose navi tra i più disparati tipi come da guerra, da trasporto merci o passeggeri, mentre attualmente è insieme a Ancona e Palermo riservato alla costruzione di navi da trasporto. Tra le navi più importanti costruite prima su tutte l'Amerigo Vespucci, l'unica nave scuola della Marina Militare Italiana.

Il Banco di Napoli è una delle banche storiche italiane, in quanto le sue origini risalgono ai cosiddetti banchi pubblici dei luoghi pii, sorti a Napoli tra il XVI e il XVII secolo, in particolare ad un Monte di Pietà fondato nel 1539 per concedere prestiti su pegno senza interessi, il quale nel 1584 aprì una cassa di depositi, riconosciuta da un bando del viceré di Napoli nello stesso anno.

Una svolta storica per l'istituto avviene nel 1901, quando viene avviata la prima attività all'estero: un ufficio a New York per agevolare le rimesse degli emigranti, trasformato in agenzia a tutti gli effetti nel 1909.
Dopo essere stato per molti anni anche istituto di emissione, il 6 maggio 1926, a seguito del passaggio della funzione alla Banca d'Italia, assume la qualifica di Istituto di credito di diritto pubblico (in pratica passa in mano alla 'politica' o 'governo' che dir si vogllia ed attraverso la DC ed il PSI segue il corso che lo ha portato al 'fallimento', salvato dal S,Paolo di Torino

  

"i FLORIO a Palermo"


Domenico Nunnari ha scritto: " la famiglia Florio "con la sua storia emblematica quanto quelle dei Buddenbrock e dei Krupp, da anni aspetta il suo Thomas Mann e il suo Luchino Visconti."

Dopo il disastroso terremoto che nel 1783 colpì la Calabria, Paolo Florio partì da Bagnara Calabra, attivo centro marinaro affacciato sullo Stretto in provincia di Reggio Calabria, alla volta della Sicilia.
Targa Florio
La gara è stata voluta, creata, finanziata ed organizzata da Vincenzo Florio, un palermitano di ricchissima famiglia affascinato dal nuovo mezzo di locomozione e già noto nell'ambiente per aver partecipato ad alcune competizioni di inizio secolo e per aver istituito,nel 1905, la Coppa Florio (una corsa automobilistica in quel di Brescia).





Ripercorrere le tappe più significative della storia di questa famiglia significa rendere conto di una parabola che, nell'arco di un secolo, li vede partire da emigrati, diventare protagonisti assoluti del loro tempo e decadere in un tramonto dorato e tragico.

Paolo Florio padre di colui che diventerà uno dei più celebri capitani d'industria dell'800, era un commerciante dalla vocazione marinara e impianterà una piccola drogheria a Palermo che nel giro di pochi anni vedrà allargare considerevolmente il suo giro d'affari, permettendogli di lasciare al figlio una notevole eredità.
Il talento economico di Vincenzo si manifesterà ben presto. Numerosissime sono le attività di cui è promotore o compartecipe. Fra le iniziative destinate ad aver maggior fortuna vi sarà la costruzione di uno stabilimento per la produzione di vino "Marsala" presso l'omonima città, in concorrenza con le famiglie inglesi che già vi operavano, come i Woodhouse e gli Ingham. L'attività intrapresa si rivelò un ottimo affare e il prodotto si assicurò un vasto mercato.


Il nome dei FLORIO si lega a quello delle Isole Egadi il 5 ottobre 1841, quando i nobili Pallavicino e Rusconi davano in gabella le antiche tonnare di Favignana e Formica alla Ditta Vincenzo Florio per un periodo di 19 anni. Ma il legame diventa indissolubile e reca l’impronta di un’epoca nel 1874 quando il figlio Ignazio Senior acquisterà interamente le Isole Egadi dalla famiglia Pallavicino. . Fra le iniziative destinate ad avere maggior fortuna vi sarà la costruzione di uno stabilimento per la produzione di vino “Marsala” presso l’omonima Città, in concorrenza con le famiglie inglesi che già vi operavano come Woodhouse e gli Ingham.
Ma la vocazione mediterranea della famiglia Florio, e anche la prospettiva di buoni utili, fece sì che Vincenzo partecipasse alla creazione nella Sicilia preunitaria, della compagnia di navigazione "Società dei battelli a vapore siciliani", insieme a numerosi altri esponenti dell'aristocrazia siciliana.

La società assicurava il collegamento tra Napoli, Palermo e Marsiglia e tra i diversi porti della Sicilia.
Nasceva frattanto l'Italia unitaria e l'esigenza di una rete di collegamenti adeguati alla nuova realtà portava Vincenzo Florio a costituire la "Società in Accomandita Piroscafi Postali" che godeva di una convenzione in denaro con il governo.
Il problema dei trasporti marittimi era cruciale all'epoca e il potere politico favorirà nel 1877 l'acquisizione da parte della "Società Piroscafi Postali", di tutto il materiale della " Trinacria" altra grande compagnia di navigazione.
A concorrere con la compagnia dei Florio rimaneva dunque solo la "Rubattina" di Genova; ma nel 1881 queste due società, si fonderanno dando vita alla compagnia della "Navigazione Generale Italiana" che ebbe il monopolio dei collegamenti marittimi. Dalla fusione di questa società con la Citra nascerà ai primi del '900 la compagnia Tirrenia).

Sempre sotto la stella di Vincenzo Florio sorgerà a Palermo la "Fonderia Oretea", moderna industria metallurgica che doveva essere complementare alle esigenze della sua numerosa flotta. A coronamento delle imprese produttive non gli mancarono conferimenti di cariche istituzionali sia nel Regno di Napoli che nel Regno d'Italia.
Riuscì ad entrare a far parte, tra l'altro, del Consiglio Superiore della Banca Nazionale del Regno, la più importante autorità economica del tempo.
La fortuna che alla sua morte, avvenuta nel 1868, lasciò a suo figlio Ignazio (senior) fu valutata nell'astronomica somma di L. 300.000.000.

Il raggio d'azione e il volume di affari della famiglia Florio era destinato ad allargarsi cosi come divenne sempre più profonda la loro impronta sul costume, sulla cultura e l'economia del tempo.
Ignazio (senior) creava industrie dotate però di moderni servizi per gli operai, costituiva un assistenziale Istituto per ciechi, iniziava la costruzione del futuro teatro Massimo. 


Ma nella memoria collettiva questa famiglia viene identificata con gli anni in cui raggiunse il suo apogeo economico, d'immagine e di influenza quando Ignazio junior successe al padre e sposò la nobile e bella Franca Jacona di San Giuliano, colei che D'Annunzio chiamerà "donna Franca".
In questi anni la storia coincide con il mito. Ignazio junior svolgeva la sua vita mondana nei migliori salotti dell'aristocrazia europea, non lesinando le corti reali. La bellezza di donna Franca fu immortalata da molti pittori, di cui il più celebre fu il Boldini; nei versi di D'Annunzio corre negli apprezzamenti e negli inviti di Vittorio Emanuele di Savoia Aosta, o del Kaiser Guglielmo II. L'imperatore di Austria in occasione di un viaggio di donna Franca a Vienna le regalò una tromba per auto, identica a quelle in dotazione sulle sue auto, cosicché usandola per le vie di Vienna la popolazione deferiva verso di lei, scambiandola per l'imperatore.
Lo stesso Re d'Italia aveva offerto al commendatore Florio il titolo di principe delle Egadi creato per l'occasione; ma questi gentilmente rifiutò, orgoglioso delle proprie origini borghesi e sicuramente soddisfatto dell'essere riferimento quanto a gusto, munificenza ed immagine per tanta aristocrazia italiana ed europea.

Ma Ignazio junior, pur negli aspetti contraddittori del quadro economico di quest'epoca, non tralasciò le iniziative.
Portò a perfezione la produzione di Marsala. L'ingresso della famiglia nel mondo del credito fu completo; costituì diverse società nel campo delle riparazioni navali e nel campo della siderurgia. Entrò a costituire la Anglo-Sicilian Sulphur Company, grande società internazionale che rivitalizza per poco tempo lo sfruttamento delle risorse minerarie delle isole.
E' del 1900 la fondazione del giornale L'ORA di Palermo, diretto da Vincenzo Morello che scriveva sotto lo pseudonimo di Rastignac.


ha la sua origine nel 1897
, fondato dall'imprenditore Siciliano Ignazio Florio, che rilevava la Cantieri Navali Bacini.Il cantiere, inizia da subito la sua fiorente attivita' di costruzioni di navi di grande stazza e manutenzione di navi gia' in servizio, nel 1925 vi fu allestita la nave reale "Savoia".Il cantiere, dopo altalenanti vicissitudini, fini' per essere escluso dal piano di riordino nazionale e nel 1966 entra a far parte della società Cantieri Navali del Tirreno e Riuniti.Nel 1973 dopo un periodo di crisi ,e di riduzione di organico, il Cantiere navale di Palermo entra nella Societa' Fincantieri.Con Fincantieri dai primi anni 80, il cantiere navale di Palermo, seppure con una drastica ristrutturazione, divenne parte integrante della nuova struttura e dedicato a navi da trasporto di vario tipo, piattaforme off-shore, trasformazioni e riparazioni navali, attività che svolge tuttora.


Già da tempo era mutato il quadro economico del Meridione ed internazionale, e si affacciavano le nubi delle future difficoltà. La famiglia Florio si trovò dinanzi ad una realtà economica,sempre più depressa e dovette affrontare fallimenti e chiusure di attività; dovette vendere parti sempre più consistenti per affrontare con larghezza l'oscuro periodo fra le due guerre.

La politica filo nordista di Giolitti che penalizzò il sud causò il fallimento di Casa Florio e dell'industria siciliana

Il loro destino economico, era sicuramente già stato segnato da uno sviluppo economico che ha visto nel Meridione d'Italia il sommarsi delle difficoltà per favorire lo sviluppo industriale delle regioni settentrionali.

Nel giudizio unanime i Florio sono stati i rappresentanti di una Sicilia industriosa, creatrice di ricchezza; moderna, riscattata dall'immobilismo della cultura feudale, una Sicilia centro di cultura, dalla vocazione mediterranea ed europea al tempo stesso.


Video della trasmissione "La storia siamo noi - I FLORIO "
http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/pop/schedaVideo640480.aspx?id=547

Se il Sud fosse uno Stato indipendente, sarebbe il più povero dell'Unione europea?

http://www.eleaml.org/sud/part_nuovi/sud_indipendente.html
Il contenuto di questo blog è da me solo PARZIALMENTE condiviso. In particolare l'argomento del signoraggio è ancora fonte di pareri diametralmente opposti e resta tutto da verificare.

Le ragioni della decadenza del sud


Le Due Sicilie erano lo Stato preunitario più prospero, nel quale l'emigrazione era sconosciuta e la cui popolazione non aveva alcun desiderio di unirsi alla restante parte della penisola. La sua posizione strategica al centro del Mediterraneo e la sua politica di fiera indipendenza cozzavano contro gli interessi delle grandi potenze europee e dei Savoia. Se i vertici dello Stato non furono capaci di arginare una unità d'Italia, una invasione, la piemontesisazzione imposta con la forza dei cannoni e del denaro corruttore, ci pensò il popolo a reagire con una guerriglia durata oltre dieci anni, che però è stata definita, in questo caso, "brigantaggio".


Ma, per quanto ci riguarda, il fatto più interessante fu come cominciò l'accumulazione della ricchezza a favore del Nord d'Italia. A fronte dell'occupazione dei territori vi furono da subito una serie di conseguenze sulla struttura sociale ed economica del Meridione attraverso atti tendenti a muovere ricchezza a favore di un'accumulazione di questa nel Nord d'Italia:

L'Opificio Reale di Pietrarsa è al momento dell'unità la più grande fabbrica d'Italia . Ma quando il governo unitario avvia il programma di ampliamento delle ferrovie le commesse per i binari sono affidate a industrie francesi. [...] Il 15 Ottobre del 1860 fu promulgato dal governo pro-dittatoriale di Garibaldi il decreto di concessione per la costruzione di strade ferrate in favore della Società Adami e Lemmi di Livorno; le precedenti convenzioni furono annullate anche se i lavori erano a buon punto...

[Per quanto riguarda la produzione tessile] Ancora nel 1987, inoltre, il 25% delle attrezzature è al Sud; bisogna però considerare che, dopo l'unità, il Sud ha in quel settore una grossa crisi dovuta, come si vedrà, alla concorrenza estera, aggravata dalla legge sul corso forzoso del 1866. Invece il Nord sarà sostenuto economicamente dallo Stato.

Quando nel 1887-88 il protezionismo chiuderà gli sbocchi esteri, l'agricoltura del Sud subirà un colpo mortale: essa non era infatti un'agricoltura di sussistenza e autoconsumo, bensì mercantile, destinata all'esportazione.

Nel 1886 giunsero i piemontesi che vendendo le proprietà demaniali, lasciarono terre e boschi, pascoli e frutteti in mano ai ricchi borghesi non "compromessi" coi Borbone ... incrementando così il latifondo . Nel Regno d'Italia accentramento politico e concentrazione di ricchezza procedono di pari passo . Sereni calcola che i proprietari nel 1861 sono 191 ogni 1000 abitanti, nel 1881 ne restano 118.

La politica fiscale perseguita dallo Stato unitario fu un caso di vero e proprio drenaggio di capitali che dal Sud andarono al Nord. La pressione fiscale in agricoltura crebbe sotto i Piemontesi e crebbe in maniera difforme, non equa. Così, mentre nelle Due Sicilie si pagano 40 milioni d'imposta fondiaria, nel 1866 se ne pagheranno 70, contro i 52 del Nord. La sperequazione è anche più evidente se si considerano le aliquote per ettaro: nelle province di Napoli e Caserta si pagano L. 9.6 per ettaro contro la media nazionale di L. 3.33. Lo stesso avviene per le tasse sugli affari che incidono per L. 7.04 pro capite in Campania, contro 6.70 in Piemonte e 6.87 in Lombardia. Il debito pubblico pro-capite degli Stati sardi era il quadruplo di quello dell'Antico Regno ed il Sud fu costretto ad accollarsi centinaia di milioni spesi dal Nord. La media pro-capite [per le spese pubbliche] fu di L. 0.39 nel Mezzogiorno continentale (L. 0.37 in Sicilia) contro la media nazionale di L. 19.71. Gli appalti sono concessi quasi esclusivamente al Centro-Nord e così pure le società con monopoli, privilegi e sovvenzioni sono al Centro-Nord.
Esemplare il modo con cui lo Stato unitario fa fronte alla cosiddetta ignoranza:
I prestiti in favore per edificare edifici scolastici raggiungono per il Sud la punta massima in Puglia di L. 5'777 per ogni 100'000 abitanti ; nel Nord le punte sono L. 13'345 in Piemonte e L. 15'625 in Lombardia. Al Nord le scuole tecniche sono distribuite in ragione di una ogni 141 mila abitanti, al Centro una ogni 161 mila abitanti, al Sud una ogni 400 mila abitanti; analoga situazione delle Università.

Eppure, per fare un esempio, di una Napoli sprofondata nella miseria e nel sudiciume come documentano le foto dei testi di scuola qualcuno, in tempi non unitari, aveva dato ben altra descrizione:

Lo splendore della Corte e della società napoletana era proverbiale; Napoli era tra le metropoli più popolose, veniva definita da Herman Melville come "la città più allegra del mondo, scintillante di carrozze, quasi non riesco a distinguerla da Broadway, la vera libertà consiste nell'essere liberi dagli affanni ed il popolo pare veramente aver concluso un armistizio con l'ansia e suoi derivati".

Senza parlare della situazione economica del Regno delle Due Sicilie in confronto al resto della futura Italia:

Il capitale circolante delle Due Sicilie era più del doppio di quello di tutti gli altri Stati della penisola messi insieme; il debito pubblico era completamente garantito ; il rapporto tra debito, con interessi, e prodotto interno lordo era il 16% . in Piemonte era del 75%.

E' forse da mettere in dubbio l'Unità d'Italia o il modo e i fini per il quali essa fu intrapresa? Una risposta la dà un certo Fortunato Giustino in una lettera al Croce del 1923:

Non disdico il mio 'unitarismo'. Ho modificato soltanto il mio giudizio sugli industriali del Nord. Sono dei porci più porci dei maggiori porci nostri. E la mia visione pessimistica è completa.

Sono gli stessi industriali che, incentivando la costruzione di sempre nuovi stabilimenti al Nord, favorirono la continua emigrazione dal Sud della forza lavoro necessaria, quando questa non era già partita per le Americhe. E' emblematico come le guerre per l'Unità dell'Italia portarono ad una disperata emigrazione: sia al Sud, ma anche nelle regioni del Veneto non appena questo fu annesso all'Italia nel 1866. La causa fu il protezionismo del Governo italiano che vide la risposta negativa dei Paesi esteri, come la Francia che alzò i dazi sui prodotti agricoli importati dall'Italia. Ciò impoverì le masse agricole, e di conseguenza quelle artigiane che furono costrette ad emigrare, mentre nel Piemonte e Lombardia industrializzati questo fenomeno ebbe ben minore risonanza.

L'Unità d'Italia non fu condotta da un migliaio di persone, ma finanziata dalla massoneria e per soddisfare nuovi equilibri nel Mediterraneo richiesti dall'onnipresente Inghilterra. Un'unità che, al solito, passò attraverso esemplari massacri e sproporzionate perdite tra le parti:

Furono distrutti 51 paesi; ricordiamoli, simboli di tanta tragedia, Casalduni e Pontegandolfo; il 14 agosto 1862 le truppe piemontesi circondano ed attaccano questi due inermi paesi del Sannio. Non c'erano Briganti, solo donne, vecchi e bambini: tutti ugualmente massacrati con violenza e furono più di 900 i morti. [19]

Tra il 1861 e il 1872 vennero uccisi 266'370 guerriglieri ed oppositori politici a fronte di 23'013 perdite piemontesi. [20] Senza menzionare le depredazione fatte, gli ingenti bottini dei vincitori che finirono a rimpinguare le banche del Nord. Così che lo stesso Giuseppe Garibaldi ebbe a scrivere nel 1868:

Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio. [21]

Così il Sud visse dal 1860 solo una triste storia, fatta di emigrazioni e penosi aiuti statali che a niente servirono a rilanciare la sua economia. Solo se consideriamo i fatti alla luce della teoria della piramide, possiamo capire perché ancora adesso il Sud d'Italia soffra di una povertà che non dovrebbe essere concepibile in un Paese tra i più ricchi del Mondo. L'espansione di conquista da parte del Regno Sabaudo non si tramutò mai in scissione come accadde per gli Stati Uniti nei confronti della madre patria. I nativi del sud non furono relegati in riserve, così nessuno del Nord si impadronì dei territori dove trasferire le proprie imprese e attività. Fu fatta solo opera di drenaggio delle ricchezze mobili (denaro e beni preziosi), soffocamento della concorrenza commerciale e industriale con conseguente sviluppo della disoccupazione che avrebbe fornito manodopera a basso costo per le industrie del Nord e d'oltreoceano. E' la storia dell'Unione dell'Italia che non può essere riscritta diversamente se non si vuole cadere in incomprensioni, fanatici razzismi, contraddizioni storiche e logiche.


fonte

Il voto per l'annessione fu proprio libero?


Il Regno delle Due Sicilie venne annesso al Regno di Sardegna dopo l'esito di un plebiscito (il 21 ottobre 1860) in cui non fu generalmente garantita la segretezza del voto ed al quale partecipò solo una minima parte degli elettori. Nella capitale ad esempio si ebbero seggi presieduti da bersaglieri, carabinieri e garibaldini o, come nel seggio della Vicaria e Pendino, anche da esponenti della camorra, che tollerati dal neoprefetto Liborio Romano, "invitavano" gli elettori a votare per l'annessione.
Furono chiuse antiche cave d'argento per favorire i francesi. Furono chiuse le ricche fabbriche manufatturiere e l'industria fiorente del baco da seta per favorire quelle del settentrione. Furono chiusi i bacini navali in cui si fabbricavano prestigiosi battelli (il primo a vapore fu realizzato nel Regno) per favorire i cantieri liguri. Non si dette seguito alla costruzione delle ferrovie che avevano (con la Napoli-Portici)iniziato i Borboni. In Sicilia, che era da secoli il granaio d'Europa e che dai suoi porti faceva partire prodotti agricoli ed agrumi per tutta l'Europa, si boicottarono i trasporti non facendo più giungere le mercanzie ai porti che in breve tempo persero la loro secolare importanza mercantile. Fu introdotta la carta moneta, (dal 1866 a corso forzoso) al posto degli scudi in oro. Furono inviati poliziotti settentrionali che non capivano il dialetto e gli usi e costumi secolari dei meridionali e che furono visti come "truppa d'occupazione". Fu reintrodotta la tassa sul macinato (pur tolta da Garibaldi), cioè sul pane, che era l'elemento essenziale per la sopravvivenza dei poveri. Fu introdotta una tassa sul sale e sui tabacchi che la Sicilia esportava in tutto il mondo, introducendo il monopolio di stato. Ebbero luogo sommosse popolari dei ceti affamati che furono anche ferocemente spente dalla polizia del nuovo Regno d'Italia.

Il brigantaggio insanguinò le province meridionali per tutto il primo decennio di vita dello stato unitario e i caduti furono molte migliaia in entrambi gli schieramenti. Si pensi che, almeno sino al 1865, i due terzi dei reparti del neoformato Esercito Italiano (circa 120,000 uomini) furono impiegati nella repressione della rivolta meridionale. Basti pensare che fino al 1870 fu dichiarato lo stato d'assedio per ben 8 volte per reprimere quelli che vennero tuttavia definiti "quattro straccioni di briganti" che ancora non volevano arrendersi al nuovo re.

Poco dopo l'annessione fu introdotta la leva obbligatoria fino ai 40 anni (sino ad allora il servizio militare nel regno era a ferma volontaria) e questo fece sì che molti giovani si dessero alla diserzione o andassero ad ingrossare le fila dei "briganti". Un forte inasprimento degli scontri arrivò nell'agosto del 1863 con la famigerata Legge Pica, che per far fronte alle rivolte nel meridione riporto la legge marziale, i processi militari e le deportazioni di molti "briganti" verso il nord del Paese e in particolar modo nella fortezza di Fenestrelle in Piemonte, da cui molti non fecero più ritorno.

Gli eccessi che si verificarono in particolare da parte dell'esercito regolare nei confronti della popolazione civile, diversamente da quanto accaduto per la coeva Guerra di secessione americana, non sono stati oggetto di una vera elaborazione critica per almeno 80 anni, in pratica sino alla fine della II guerra mondiale.

Molti furono i paesi e le città che diedero un contributo in vite umane. Da ricordare sicuramente il massacro di Bronte da parte di garibaldini comandati da Nino Bixio, di Isernia dove furono mostrate le teste mozzate e racchiuse in una gabbia di 4 briganti, San Lupo, Casalduni e Pontelandolfo che furono quasi rasi al suolo dai bersaglieri.

Questa rimozione della memoria storica ha condizionato pesantemente, insieme alle dinamiche economiche e politiche del nuovo stato italiano, il formarsi di un comune sentire nazionale ed è stato per lungo tempo fonte di incomprensioni e rancori tra le diverse anime del Paese.

Alla crisi contribuì inoltre l'incameramento delle casse del Banco delle Due Sicilie (443 milioni di Lire-oro, all'epoca corrispondenti
ad oltre il 60% del patrimonio di tutti gli Stati italiani messi insieme)
da parte di quelle esauste del Piemonte, indebolite drammaticamente anche dalla guerra di unificazione. Lo stesso istituto di credito fu poi scisso in Banco di Napoli e Banco di Sicilia.

 

LA SICILIA: REGIONE O "COLONIA" D'ITALIA?

LA SICILIA: REGIONE O "COLONIA" D'ITALIA?
Come tutti sanno, la Sicilia è diventata "Regione a statuto speciale" il 15 maggio 1946, in altre parole quando l'Italia era ancora un Regno, e non una Repubblica. Il suo decreto istituzionale non fu firmato da un President della Repubblica, bensì dal principe Umberto di Savoia, Luogotenente del Regno d'Italia per il padre Vittorio Emanuele III.
Questa priorità storica della "Regione Siciliana" è dimostrata proprio dalla sua denominazione che adoperava l'aggettivo "Siciliana", mentre tutte le altre regioni italiane vengono contrassegnate dal proprio sostantivo, per questo abbiamo la "Regione Lazio", la "Regione Puglia", e così via.
Il decreto-legge relativo, approvato il 15 maggio 1946 con la legge n. 455, fu pubblicato sulla "Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana" del 10 giugno 1946. Questo decreto è composto di 41 articoli, di cui, purtroppo, i più importanti e i più determinanti, o non sono stati mai applicati, oppure sono caduti nel dimenticatoio, dopo una temporanea applicazione.
È stupefacente costatare come lo Statuto Regionale Siciliano sia stato progressivamente svuotato di valore e di significato, proprio nelle sue prerogative. Infatti:
L'art. 25 prescriveva che, in Sicilia, sarebbero state abolite le province con i loro organi e che al loro posto fossero istituiti i "Liberi Consorzi di Comuni". Questo articolo non è mai stato applicato e tutto è rimasto come prima.
L'art. 21 disponeva che il Presidente della RS partecipasse con il rango di Ministro al Consiglio dei Ministri, con voto deliberativo nelle materie che interessano la RS. Quest'articolo non è stato mai applicato e quando recentemente il Presidente Giuseppe Provengano tentò di farlo valere, gli furono letteralmente chiuse le porte in faccia.
L'art. 24 prevede l'intervento giuridico di un'Alta Corte di Giustizia, per decidere della costituzionalità delle leggi riguardanti la Sicilia ed emanate tanto dallo Stato, quanto dalla Regione stessa. Quest'Alta Corte fu costituita e funzionò per qualche tempo, ma poi scomparve senza lasciare traccia.
L'art. 31 disponeva che il Presidente della Regione Siciliana fosse il "Capo della Polizia di Stato nell'ambito della Regione", con il diritto di decidere la rimozione dei funzionari di polizia in S o il loro trasferimento fuori della S, ma quest'articolo non è stato mai applicato.L'art. 38 dispone che lo Stato "verserà annualmente alla Regione Siciliana, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi in lavori pubblici". Quest'articolo funzionò per qualche tempo; poi, non se ne è saputo più nulla.
L'art. 40 dispone l'istituzione per il Banco di Sicilia di Palermo, di una "Cassa di Compensazione", allo scopo di destinare ai bisogni della Regione Siciliana le valute estere, provenienti dalle esportazioni siciliane, dalle rimesse degli emigranti, dal turismo e dal ricavo dei noli di navi iscritte nei compartimenti siciliani. Quest'articolo non è stato mai applicato.
Come si vede, nessuno degli articoli, veramente determinanti per lo sviluppo e per la vita stessa della RS risulta oggi applicato e lo Statuto Regionale risulta quindi svuotato di reale efficacia, degradandosi ad inutile e derisorio "pezzo di carta". Ma c'è di più. Nel suo oltre mezzo secolo di vita, dal 1946 ad oggi, la "Regione Siciliana a statuto speciale" non è riuscita:
A completare l'autostrada A 20 (Palermo-Messina), che da oltre trent'anni è interrotta nel notevole tratto che va da Sant'Agata di Militello (Messina) a Cefalù (Palermo), con gravi disagi per il turismo e per i trasporti.
A far funzionare il "Casinò di Taormina", autentico polmone per il turismo e per l'economia siciliana. Questo Casinò è stato chiuso "per regioni morali, dato che si trattava di gioco d'azzardo", mentre in Italia funzionano allegramente ben cinque Casinò: due a Venezia ed uno ciascuno a San Remo, a Saint Vincent e a Campione d'Italia.
A garantire l'attività autonoma degli istituti bancari siciliani, che sono stati tutti accorpati, e cioè assorbiti da istituti bancari del Nord (anche piccole banche locali, anche la "Banca del Monte S. Agata" di Catania, o la "Cassa di S. Giacomo" di Caltagirone, o la "Banca Santa Venera" di Acireale). Queste banche sono diventate tutte filiali del Credito Valtellinese. Se fosse accaduto il contrario, ci potete scommettere che si sarebbe parlato di "mafia".
Ad assicurare alla Sicilia, che produce e raffina il 70 percento della benzina italiana, i privilegi fiscali di cui, in questo campo, gode la Val d'Aosta, che di petrolio non ne produce, né ne raffina nemmeno una goccia e lascia volentieri l'inquinamento alla Sicilia.
A creare una "coscienza regionale" in Sicilia, perché la Sicilia è l'unica regione "a statuto speciale" a non avere nelle sue scuole elementari e medie l'insegnamento di "Cultura Regionale". Cioè vale a dire storia, economia, geografia, letteratura e folklore regionali, che invece esistono, e dal 1958, dalla terza elementare alla terza media nelle altre quattro regioni "a statuto speciale", e cioè in Sardegna, in Val d'Aosta, in Trentino-Alto Adige e in Friuli-Venezia Giulia.

Cenni sulla storia di Palermo

Preistoria e primi insediamenti
La presenza umana a Palermo è già attestata in epoca preistorica come una delle più antiche di tutta la Sicilia, con interessanti graffiti e pitture rupestri, ritrovati nelle grotte dell’Addaura nel 1953 dall’archeologa Bovio Marconi: figure danzanti in un rito magico propiziatorio, forse “sciamani” di un popolo che abitò l’isola.

La città di Palermo, sorta in epoca sconosciuta, su insediamenti preistorici in forma diversa dall’attuale, sulla convergenza di due parti naturali, si chiamò Sis, il cui significato è “fiore” nella lingua primigenia d’origine africana come i suoi primi abitanti, i Matabei, popolo proveniente dalla Giordania, passato dalla Spagna all’isola. Essi furono tutti Sicani – secondo lo storico greco Erodoto – e chiamarono l’insediamento urbano “Lidobello” per la peculiarità geografica del suo territorio, ponendovi il centro della Sicania, fra il XII ed il X secolo a.C..


Fenici e Greci
i Fenici, provenienti da Tiro, vi stabilirono una fiorente colonia commerciale in rapporti e contrapposizione ai Siculi, occupanti la parte orientale dell’isola.

I primi insediamenti e i fondaci furono trasformati in una splendida città alla quale fu dato il nome di Mabbonath, che in fenicio significa “alloggiamenti”, cioè città abitata. Essa divenne ben presto la più importante del cosiddetto triangolo fenicio, comprendente Mozia e Solunto, ricordato anche da Tucidide. Della dominazione fenicia rimangono alcune testimonianze, ovvero le mura antiche della città oggi corrispondenti ad alcune vie, e l'assetto del cuore del centro storico, il "Piede Fenicio" costituito dalla via principale, oggi Corso Vittorio Emanuele, e da tutta una serie di vicoli ad essa perpendicolari. Di quest’età, sotto l’aspetto archeologico, la Palermo fenicio-punica ha tracce esclusivamente nelle necropoli, che s’estendono fra Piazza Indipendenza a nord, la “rocca” di Monreale, Corso Pisani e la zona del cosiddetto Papireto, dal nome dell’antico fiume. I fiumi Papireto e Kemonia avevano una funzione difensiva, mentre oggi sono fiumi sotterranei, essendo stati sotterrati al momento della espansione della città.

Fra l’VIII e il VI secolo a.C. i Greci condussero la colonizzazione della Sicilia, le diedero il nome di Panormos, tutto porto (a sottolineare la peculiarità geografica di una penisola circondata dalle foci di due fiumi, e quindi facilmente difendibile) da cui è derivato l’attuale e mantennero i commerci con i Cartaginesi, cioè con il popolo discendente dai Fenici, che sulle coste africane avevano fondato un regno.

La storia della Sicilia s’identifica in grane misura con quella di Palermo: di conseguenza la parte occidentale punica venne colonizzata più tardi rispetto al primo insediamento greco di Naxos e le due civiltà convissero fino al prevalere della conquista romana, come testimoniano iscrizioni e graffiti nelle vicine Solunto e Selinunte.

La città greca assunse l’aspetto di due nuclei: la Paleopolis (la parte antica), stretta tra i fiumi Kemonia e Papireto, e la Neapolis (quella di più recente sviluppo).


Guerre puniche

Rimase una città fenicia fino alla Prima guerra punica (264-241 a.C.), a seguito della quale la Sicilia venne conquistata dai Romani. Il periodo romano è stato di tranquillità e la città faceva parte della provincia di Siracusa. Con la divisione dell'Impero la Sicilia, e con essa Palermo, furono attribuite all'Impero Romano d'Oriente.

Con le guerre puniche Palermo fu al centro dello scontro fra Cartaginesi e Romani, finché nel 254 a.C. la flotta romana assediò la città, costringendola alla resa e rendendo schiava la popolazione che venne costretta al tributo di guerra per riscattare la libertà. Asdrubale tentò ancora di riprendersela, ma Metello, il console romano, ottenne una splendida vittoria.

Vano anche il tentativo di Amilcare nel 247 a.C. che si accampò alle falde del monte Pellegrino, chiamato Ercta, senza riuscire a vincere, poiché la città rimase fedele a Roma ed ebbe i titoli di Pretura, l’Aquila d’oro e il diritto di battere moneta, restando una delle cinque città libere dell’isola.


Periodo imperiale, invasioni barbariche, bizantini [modifica]
Testimonianza dell’agiatezza e dello splendore della romana “Panormus” sono edifici dell’epoca della zona di Piazza Vittoria fra cui il teatro esistente fino al tempo dei Normanni e mosaici scoperti nel 1868 in Piazza della Vittoria. In epoca imperiale fu colonia romana – come ci narra Strabone – ed era ancora il granaio di Roma, ma risentì della decadenza dopo Vespasiano, subendo le invasioni barbariche dal 445, con Genserico, re dei Vandali che mise a ferro e fuoco la città, fino al dominio di Odoacre, Teodorico e dei Goti.

Nel 535 Belisario espugnò con la sua flotta navale Palermo, sottraendola ai Goti; iniziava così il periodo bizantino che si protrasse fino all’830 quando gli Arabi, sbarcati a Marsala quattro anni prima, ne fecero la capitale del loro regno in Sicilia


Dominazione araba
Nel IX secolo Musulmani dal Nord Africa invasero la Sicilia, conquistando Palermo nel 831 e l'intera isola nel 965. E furono proprio i governatori musulmani a spostare la capitale della Sicilia a Palermo, città nella quale è rimasta da allora. Nel periodo musulmano Palermo è stata una città importante nei commerci e nella cultura e si dice avesse più di 300 moschee; era conosciuta in tutto il mondo arabo. Fu un periodo di prosperità e tolleranza: i Cristiani e gli Ebrei non erano perseguitati.

Gli anni della dominazione araba sancirono la definitiva ascesa della città e la sua superiorità sugli altri centri della Sicilia. Sede di un potente emirato che, grazie alla capacità amministrativa dei Kaglebiti divenne una terra ricca e florida dai costumi tipicamente musulmani con influenze nella lingua e nella toponomastica, nelle colture e nelle costruzioni architettoniche. Le tracce di essa sopravvivono anche nei monumenti che costituiscono il centro della città antica, con i suoi cinque quartieri: il Kasr nella punta della Paleopolis; il quartiere della grande Moschea; la Kalsa (ossia Eletta) sede degli emiri nella riva del mare; la zona degli Schiavoni, attraversata dal fiume Papireto; e infine a ponente il Moascher, il quartiere dei soldati antica sede degli emiri.

Il monaco Teodosio che ci ha fornito queste notizie sosteneva anche che circa trecento moschee si ergevano nel territorio palermitano e l’istruzione era affidata a trecento maestri per una popolazione di oltre trecentomila persone.

Divisa la Sicilia in tre valli (Val di Mazara, Val Demone, e Val di Noto), il territorio veniva controllato con una specie di signorie affidate ai “Kaid”. Gli Arabi dapprima perseguitarono i Cristiani, ma poi lasciarono libertà di culto facendo loro pagare la "gìzia”, un tributo annuo per mantenere fiorenti i commerci grazie alla pacificazione.

La potenza musulmana fu però corrosa dalle lotte intestine all’emirato che aprirono la via della Sicilia allo straniero finché nel 1072, dopo quattro anni d’assedio, il conte Ruggero d'Altavilla, il Normanno, espugnava Palermo.


I Normanni
Palazzo dei Normanni La Cattedrale di Palermo, sintesi architettonica dei vari momenti storici della cittàIl periodo arabo di massimo splendore continuò con i Normanni (soprattutto con Ruggero II) e con gli Svevi (Federico II, 1194-1250), i quali seppero raccogliere e utilizzare l'eredità culturale araba, greca e romana. Alla morte di Federico II fa seguito un lungo periodo di instabilità culminata con la rivolta antifrancese del Vespro (1282). Palermo si separa da Napoli e offre la corona di Sicilia a Federico III d'Aragona.

I Normanni ripristinarono il culto cristiano, dichiarando la città capitale dell'isola e nel 1130 Ruggero II d'Altavilla cingeva la corona di Re di Sicilia. Cominciava così un regno caratterizzato dalla convivenza di varie etnie e diverse fedi religiose, una specie di stato federale con un primo parlamento, creato nel 1129, e l'organizzazione del catasto secondo una moderna concezione. Gli edifici più importanti della città ancora oggi ne dimostrano la civiltà, come la chiesa della Martorana e la Cappella Palatina, e il geografo arabo Edrisi, nel libro dedicato a re Ruggero, ci ha lasciato la testimonianza di questo magnifico periodo di fasti e ricchezza.

Ai due Ruggero successero Guglielmo I (detto il Malo) e Guglielmo II (detto il Buono), i quali tentarono d'opporsi alle mire dell'imperatore Federico Barbarossa, deciso ad annientare il Regno dei Normanni in Sicilia.


Gli Svevi
Un matrimonio di stato fra Enrico VI, figlio dell'imperatore tedesco, e Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II, nel 1185, tentò un accordo pacifico, ma aprì solo la strada alla conquista Sveva e nel 1194 Palermo veniva conquistata dal sovrano tedesco. Aveva così inizio la nuova dinastia degli Svevi in Sicilia che con Federico II, figlio di Costanza I raggiunse il massimo dello splendore. Palermo e la corte divennero il centro dell'Impero, comprendente le terre della Puglia e dell’Italia meridionale. A Palermo nacque la "Scuola poetica siciliana" con la prima poesia italiana; e politicamente il sovrano chiamato "Stupor mundi" (meraviglia del mondo) anticipò – come scrive Santi Correnti – "la figura del principe rinascimentale", anche con le cosiddette Costituzioni Melfitane (1231). Il suo regno fu tuttavia caratterizzato dalle lotte contro il Papato e i Comuni italiani, nelle quali riportò vittorie o cedette a compromessi, organizzando la quarta crociata e dotando l'isola e il meridione di castelli e fortificazioni. Volle essere sepolto nella cattedrale di Palermo, quando nel 1250 si concluse improvvisamente la sua vita, conseguentemente scatenando le lotte di successione in cui Manfredi, figlio naturale di Federico II, venne sconfitto a Benevento nel 1266 da Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia.


Gli Angioini
Carlo d'Angiò dava inizio alla dominazione angioina che sarebbe durata fino al 1282. Carlo e i suoi funzionari cercarono di sfruttare con tasse e tributi la Sicilia, mentre frattanto la capitale veniva spostata a Napoli. Il malcontento dei Siciliani culminò nella rivolta del Vespro, il 31 marzo 1282, quando dinanzi alla chiesa del Santo Spirito – si dice – esplose la reazione popolare in seguito all'offesa fatta da un certo Drouet ad una donna palermitana. Tale avvenimento fu l’occasione per cacciare gli odiati Angioini, mentre veniva inviato ad assumere la corona del Regno Pietro III d'Aragona. Cominciò una guerra che sarebbe durata novant'anni in tre fasi distinte concluse rispettivamente con la pace di Caltabellotta nel 1302, la pace di Catania nel 1347 ed infine con il Trattato di Avignone 1372.


Gli Aragonesi
Palermo passò da un sovrano all’altro della dinastia aragonese: Giacomo II, Federico III di Aragona e l’isola fu lacerata dalle rivalità fra le famiglie nobili come i Ventimiglia, gli Alagona e i Chiaramonte, i quali si contendevano il potere nelle terre occidentali della Sicilia. Tracce artistiche del periodo aragonese troviamo in Palermo in alcuni palazzi sontuosi come lo Steri e Palazzo Sclafani di stile chiaramontano, mentre i commerci con Genova e con la Spagna fiorirono con lo scambio di materie prime e prodotti artigianali.


La dominazione spagnola
Nel 1494, alla morte di re Martino, la Sicilia venne annessa alla Spagna e Palermo diventava sede dei Viceré, i governatori a cui veniva affidato il potere nell’isola da condividere con i baroni. Furono espulsi gli ebrei, istituito il Sant'Uffizio, e crebbero i privilegi nobiliari. Tuttavia la città vide rilanciare l’attività artistica e la costruzione di sontuosi edifici pubblici come la chiesa di San Giuseppe, la chiesa di Santa Maria dello Spasimo e il nuovo assetto scenografico di Porta Nuova, pur frutto di pesanti tasse. Dopo Ferdinando d’Aragona il governo più tirannico fu quello di Carlo V, della dinastia degli Asburgo di Spagna, e di Filippo II suo figlio, che esercitarono il potere da lontano servendosi dei baroni, i quali si circondavano di bravacci per esercitare la loro prepotenza. La città s’arricchì però, ad uso soprattutto delle classi nobiliari, dell’apertura di via Maqueda, della scenografia dei Quattro Canti, con statue innalzate ai sovrani come quella a Carlo V in Piazza Bologna, di mura robuste e bastioni per la difesa del territorio.

I Borboni
L'Orto botanico di Palermo (XVIII secolo)Coinvolta nelle guerre europee tra Francia, Austria e Spagna, nel 1713 col trattato di Utrecht la Sicilia passava a Vittorio Amedeo II di Savoia per breve tempo, finché dal 1734 ritornavano i Borbone con Carlo III che scelse Palermo per la sua incoronazione del Regno delle due Sicilie. Sotto questo monarca la città vide crescere e sviluppare l’edilizia, l’industria, il commercio in modo fiorente. A lui successe il figlio Ferdinando, non molto gradito dai Palermitani, ma nel 1798 gli eventi della Rivoluzione francese costrinsero il sovrano a rifugiarsi a Palermo. Negli anni seguenti dal 1820 al 1848 la Sicilia venne coinvolta nei moti rivoluzionari che videro nel 12 gennaio del 1848 un’insurrezione popolare capeggiata da Giuseppe La Masa che proclamava il primo parlamento e la monarchia costituzionale con comitati presieduti da Ruggero Settimo che fu il capo del nuovo governo provvisorio che durò sedici mesi. Ma i Borboni ripresero il potere bombardando le città siciliane (re Ferdinando IV fu detto perciò “Re Bomba”) che avrebbero mantenuto fino allo sbarco di Garibaldi. Costui nel 1860, con la Spedizione dei Mille preparata dalla rivolta del 4 aprile di Francesco Riso, entrava trionfante a Palermo il 27 maggio, dopo aver assunto la dittatura dell’isola col proclama di Salemi, chiamato a liberare la Sicilia dai Borboni da Rosolino Pilo. Dopo le battaglie vittoriose nell’isola col plebiscito del 1860, la Sicilia sceglieva l’annessione all’Italia una, libera e indipendente, che si sarebbe costituita in regno nel 1861.

"Senza Sicilia l'Italia non lascerebbe alcuna immagine nel cuore"


"Senza Sicilia l'Italia non lascerebbe alcuna immagine nel cuore"
Goethe


Riscoprire le profonde radici storico-culturali è il modo migliore per comprendere l'evoluzione della Sicilia, una terra considerata da secoli crocevia di popoli, di lingue e di arti, quasi una torre di Babele mediterranea dalla suggestiva sagoma di triangolo.
L'Isola -spartiacque ideale del Mare Nostrum e ancella dei lontani lidi dell'Hesperìa ellenica- venne non a caso definita da Omero, la prima voce della letteratura occidentale, Trinakìe e, indistintamente, Isola del Sole. Una luce cocente, quella siciliana, che si riflette sul mare, sulle bianche creste calcaree e sulla lava che, periodicamente distruttiva, diventa anche foriera di stimoli vitali.
La scommessa di ripercorrere le tappe della storia siciliana attraverso opere stimolanti e prestigiose.
Richiamare alla memoria luoghi e personaggi di Sicilia Sottolineare la cultura figurativa dell'Isola -facendo emergere gli aspetti artistici dei paesaggi naturali nonché il contributo dell'opera degli uomini- è sembrato il metodo migliore per sottolineare l'idea stessa di identità culturale e di tradizione millenaria.
A questo lavoro vengono affiancati originali contributi di ampio respiro, che sollecitano la riflessione sul presente e illuminano ciò che, del nostro passato, consideriamo degno di memoria.
Contestualmente alla sicilianità più nota, riscoprire il mondo sconfinato delle arti minori è, inoltre, un percorso ancora inedito e ricco di curiosità: un lungo cammino che -ponendo attenzione alle sfumature- diventa specchio di opere tutt'altro che culturalmente marginali. Come un ideale paradigmatico, la medesima curiosità spinge in primis a riproporre anastaticamente ciò che a nostro avviso cade sempre più nell'oblio: le grandi opere di memorialisti e viaggiatori che, spinti da una genuina voglia di conoscere, hanno descritto la Sicilia dando vita a spontanei racconti, rimasti ancora oggi colonne portanti della memoria isolana.
Una terra di fuoco e di mare, di ciclopi e di miti. Ma soprattutto una terra che, nei suoi secolari travagli, trova singolare forza nella fantasia della sua gente.


Il Parlamento Siciliano è tra i più antichi del mondo
(secondo alcuni, dopo quelli di Islanda e Isole Fær Øer), vedendo la luce nel lontano 1130 a Palermo, nel Palazzo dei Normanni.

La prima Assise (itinerante) fu convocata da Ruggero I di Sicilia nel 1097 a Mazara del Vallo. Il primo Parlamento normanno, era non elettivo ed aveva la funzione di corroborare l'attività del sovrano, specie nella tassazione, nelle spese [1] e nelle guerre. I Parlamentari erano scelti fra i nobili più potenti e non aveva alcuna funzione legislativa. Il Parlamento ebbe una svolta con l'illuminato sovrano Federico II di Svevia che permise l'acceso parziale anche alla società civile.