2009-08-18

La presenza ebraica in Sicilia

La Sicilia, nella sua lunga storia, è stata abitata e conosciuta da tanti popoli. Gli ebrei, nella loro lunga storia hanno conosciuto ed abitato tante terre... Eppure pochi "incontri" furono così felici come quello fra l'isola mediterranea ed il popolo d'Israele. Per oltre quindici secoli gli ebrei abitarono la Sicilia, in pace e prosperità, e di quella presenza restano ancora molti segni, nella memoria e nella cultura di entrambi i popoli. Per questo è giusto ricordare, ripensare al passato per comprendere il futuro...
Ma è nella seconda metà del XV secolo che la situazione inizia a precipitare, scoppiano sporadici casi di antisemitismo e la rapacità dei monarchi spagnoli aumenta come l'aggressività antiebraica della chiesa cattolica. Il re di Aragona, Ferdinando, sposa la regina di Castiglia, Isabella, facendo nascere il regno di Spagna, che si lancerà nella "Reconquista" dell'ultimo dominio arabo in Spagna, quello di Granada (anch'esso indebolito da problemi e rivalità interne). Nel 1492, pressati dall'arroganza e dall'intolleranza della chiesa cattolica (guidata in Spagna dal famigerato inquisitore Torquemada) e spinti altrettanto dal desiderio di impossessarsi dei notevoli patrimoni degli ebrei che risiedevano nei loro domini, i sovrani emanano il drammatico editto di espulsione, che fu preceduto da una breve ma intensa campagna di odio (la ciclicità della storia riporterà un fenomeno simile nel '900, quando il governo fascista farà precedere le sue "leggi razziali" da una violenta campagna di diffamazione degli ebrei). Tutti gli ebrei avevano tre mesi per lasciare il regno, abbandonando i loro averi (che furono accuratamente catalogati per potersene impossessare) e la terra in cui da secoli vivevano prosperamente. Altrimenti erano obbligati alla conversione al cattolicesimo, dove peraltro erano soggetti ad un regime assai diverso da quello degli altri cattolici: il termine con cui erano indicati ("marranos" cioé maiali, in ebraico erano detti "anussim") dimostra chiaramente come la loro condizione fosse estremente dura ed ingiusta. Centinaia di migliaia di ebrei spagnoli furono costretti ad emigrare verso altre terre (paesi arabi, Europa centro-settentrionale). ................
Gli studiosi calcolano che lasciarono la Sicilia circa 40mila persone, alla volta della Grecia (dove nacquero delle "Schole" siciliane), del Regno di Napoli (in cui esisteva già una cospicua presenza ebraica, anche lì, pochi decenni dopo venne decretata l'espulsione), di Roma (anche lì nacque una Schola siciliana, una delle cinque del ghetto dell'Urbe, sopravvissuta fino al XIX sec.) e dell'Italia centrale e, in misura minore, verso altri luoghi (paesi arabi, Balcani). Coloro che rimasero subirono pesanti discriminazioni patrimoniali e giuridiche, nonostante le quali (e nonostante l'ossessiva pressione degli inquisitori) in tanti continuarono a praticare in segreto il culto giudaico.

Con la conquista spagnola di Tripoli, nel 1510, molti ebrei fatti prigionieri furono venduti come schiavi in Sicilia creando un paradossale e tragico "ritorno". Della loro sorte si sa abbastanza poco, anche se l'argomento è oggi all'attenzione di diversi studiosi. ............

Nonostante tutto, qualcuno ancora oggi, dice che la Sicilia è un po' la "seconda Israele"... Ad oggi non esiste una comunità ebraica in Sicilia, seppure sono presenti diverse famiglie ed anche alcune organizzazioni israelitiche, ma la memoria della presenza giudaica è tutt'altro che scomparsa: dalla gastronomia a talune espressioni dialettali, da alcune tradizioni dell'artigianato fino al vero, grande, dono che gli ebrei hanno lasciato alla Sicilia: la vocazione alla tolleranza e al rispetto delle diversità.

http://www.geocities.com/siciliajudaica/main.html

Rom siciliani

Giostrai, stagnini, ombrellai affollano le feste di paese e sono italiani a tutti gli effetti. Non vogliono essere chiamati rom. Ma conservano il vecchio spirito nomade.
In un panorama così ampio, c’è chi rifiuta d’essere assimilato ai rom. Sono i caminanti di Noto, un gruppo "invisibile" di girovaghi siciliani, continuatori di un’antica tradizione incentrata sulla parola, il canto e le leggende. Questa frangia etnica ben radicata nel territorio cerca di far valere la propria identità popolare, ricordando a tutti come la parola "rom" abbia un significato ben diverso dall’uso oggi in voga, e sia semplicemente la traduzione di "uomini liberi".
I giramondo di Noto negano d’essere "zingari" di professione, nonostante sia impresso su di loro come un marchio il destino di un popolo ramingo, fatto di venditori e riparatori ambulanti, tutti "camminanti", nel nome e di fatto.
Discendenti dei nomadi sbarcati in Sicilia alla fine del Trecento, al seguito dei profughi Arberes’h, i caminanti hanno mantenuto intatta l’originaria organizzazione familiare, sotto la guida di un capogruppo più anziano e con matrimoni stabiliti all’interno della comunità, un’unica e grande famiglia. «Sono nato così», ricorda uno di loro, «quando ero bambino e vedevo i figli di chi stava al campo, mio padre mi diceva che eravamo tutti parenti».
Sono considerati i più grandi camminatori della storia, disseminati nel ventaglio tra Catania, Agrigento e Siracusa, ma durante l’inverno affollano uno storico quartiere di Noto, che porta il loro nome. I "siciliani erranti" sono gli ultimi eredi di una cultura fondata sul movimento, ma hanno fatto proprie le tradizioni locali, favorendo la nascita di una mescolanza variopinta di stili di vita.
«Ci basta avere per tetto il cielo e il fuoco per riscaldarci, ma non siamo zingari», continuano, «siamo siciliani e somigliamo alle rondini, perché viviamo liberi». Negli anni ’50 i caminanti salivano in cima alle montagne a dorso di mulo, oggi si spostano alla guida di roulotte attrezzate, una scelta che li accomuna agli altri rom. La Sicilia rimane, però, la loro regione d’appartenenza, l’Italia è la vera patria, anche perché vi abitano da decine d’anni, mantenendo diritto di voto e cittadinanza

2009-08-17



2009-03-02

Banco di Napoli e Banco di Sicilia

Il Banco di Napoli è una delle più importanti e più antiche banche storiche italiane, in quanto le sue origini risalgono ai cosiddetti banchi pubblici dei luoghi pii, sorti a Napoli tra il XVI e il XVII secolo, in particolare ad un Monte di Pietà fondato nel 1539 per concedere prestiti su pegno senza interessi, il quale nel 1584 aprì una cassa di depositi, riconosciuta da un bando del viceré di Napoli nello stesso anno.

Altri sette istituti simili vennero successivamente fondati in Napoli tra il 1587 ed il 1640. Dopo circa due secoli di attività indipendente tra di loro, un decreto di Ferdinando IV di Borbone porta all'unificazione degli otto istituti esistenti in un'unica struttura che viene denominata Banco Nazionale di Napoli.

Seguendo i cambiamenti politici che hanno caratterizzato il XIX secolo a Napoli e nell'Italia meridionale, anche il Banco di Napoli muta denominazione e struttura. Nel tempo sono cambiate anche le sedi della banca che, dall'originaria sede del Monte di Pietà sita in via S. Biagio dei librai in pieno Centro storico di Napoli, a partire dal secolo XIX trova la sua finale collocazione nel nuovo Palazzo del Banco di Napoli in via Toledo.

Passando dal regno dei Borbone a quello di matrice napoleonica, il re di Napoli Gioacchino Murat tenta di trasformare il Banco in una società per azioni analoga alla Banca di Francia e crea il Banco delle Due Sicilie, destinato ad avere le stesse funzioni attraverso la Cassa di Corte e la Cassa dei Privati.

Nuovi cambiamenti avvengono nel 1861 con l'Unità d'Italia, mutamenti che segnano da un lato la nascita della denominazione Banco di Napoli e dall'altro l'espansione dell'istituto, con la creazione di una Cassa di risparmio, successivamente incorporata, e con l'apertura delle prime filiali fuori dall'area meridionale, in particolare a Firenze (1867), Roma (1871) e Milano (1872). Risale inoltre a questo periodo la creazione di una sezione di Credito Agrario, che ebbe primaria importanza nel finanziare lo sviluppo dell'agricoltura nell'Italia meridionale e la sua specializzazione nelle colture viticole ed agrumicole.

Un'altra svolta storica per l'istituto avviene nel 1901, quando viene avviata la prima attività all'estero: un ufficio a New York per agevolare le rimesse degli emigranti, trasformato in agenzia a tutti gli effetti nel 1909.

Dopo essere stato per molti anni anche istituto di emissione, il 6 maggio 1926, a seguito del passaggio della funzione alla Banca d'Italia, assume la qualifica di Istituto di credito di diritto pubblico e anche un maggior ruolo nello sviluppo del Mezzogiorno; in particolare dopo la crisi del 1929 assume un ruolo importante nel salvataggio delle diverse banche locali nel Sud italia. Nel 1931, primo fra le banche italiane, si dota di un Ufficio Studi per seguire l'economia del proprio territorio creando anche una propria rivista, la Rassegna economica, ancora in essere e oggi gestita dall'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, che ha ereditato il patrimonio informativo e di competenze del vecchio Ufficio studi. Lo status di Istituto di diritto pubblico sarà mantenuto fino al 1991 quando, in osservanza della cosiddetta Legge Amato, viene trasformato in Società per azioni dando origine anche all'Istituto Banco di Napoli - Fondazione, a cui viene trasferito l'importante archivio storico che va dal XV secolo ad oggi.

Negli ultimi anni del XX secolo e nei primi anni del XXI, il Banco di Napoli ha attraversato una fase difficile, con sofferenze pesanti e conseguenti difficoltà finanziarie dovute principalmente alla commistione dei vertici con i poteri politici dell'epoca. A seguito all'azzeramento del Capitale Sociale, la Banca è stata acquistata per una cifra irrisoria (60 miliardi di Lire, circa 30 milioni di Euro) da parte della cordata composta dalla BNL Banca Nazionale del Lavoro e dall'INA Istituto Nazionale delle Assicurazioni. Dopo circa due anni di gestione ulteriormente penalizzante e dai risultati operativi estremamente deludenti, la cordata BNL/INA ha ceduto la Banca al gruppo Sanpaolo IMI, che ha acquistato la proprietà della Banca per una cifra vicina ai 6.000 miliari di Lire, mutandone la denominazione in Sanpaolo Banco di Napoli S.p.A. e dotandola di un Capitale Sociale di 800.000.000 di Euro. Nel contempo la Bad Bank, istituita per il recupero dei crediti in sofferenza, ha provveduto a rientrare di circa il 94% delle esposizioni che appena 6 anni prima avevano decretato la fine di uno dei più antichi e prestigiosi Istituti di Credito italiani. A seguito delle ultime operazioni societarie di fusione del Gruppo Sanpaolo IMI nel gruppo INTESA, avvenute nel 2006, al Sanpaolo Banco di Napoli è stato demandato il compito di presidiare le quattro regioni meridionali della Campania, Puglia, Basilicata e Calabria. Dall'8 giugno 2007, a seguito di una delibera dell'Assemblea dei soci, la Banca ha nuovamente assunto la denominazione di Banco di Napoli S.p.A.

BANCO DI SICILIA
Il Banco di Sicilia è uno dei più antichi istituti di credito d'Italia. È oggi parte del gruppo bancario Unicredit. Opera con oltre 500 sportelli su tutto il territorio nazionale, con una posizione di preminenza in Sicilia.
Il banco viene fondato nel 1849 con l'unificazione della Cassa di Corte di Palermo e della Cassa di Corte di Messina, separatesi dal Banco delle Due Sicilie in seguito ai moti rivoluzionari del 1848-1849, con la denominazione di Banco Regio dei Reali Domini al di là del Faro. Assume la denominazione attuale nel 1860.

Nel 1867, nell'Italia ormai unificata, viene riconosciuto con legge quale istituto di emissione, funzione che manterrà fino alla riforma bancaria del 1926, che ne farà uno degli "istituti di diritto pubblico". Sono gli anni (1862-1893) in cui il Banco viene guidato da Emanuele Notarbartolo.

Nel 1870 il Banco viene autorizzato all'apertura di nuove filiali, sia in Sicilia (Catania, Agrigento, Trapani, Siracusa e Caltanissetta) sia nella penisola (Napoli, Firenze e Torino). Successivamente molte altre succursali vennero aperte facendolo divenire uno dei principali istituti creditizi nazionali.

Fra il 1927 ed il 1958 videro la luce le sezioni speciali di credito minerario, industriale, fondiario e delle opere pubbliche, che si univano a quella per il credito agrario (istituita nel 1883).

Con la riforma del 1990 diventa una Società per azioni di proprietà dell'omonima Fondazione bancaria. Gli anni '90 saranno segnati da un pesante processo di riorganizzazione e risanamento per liberare l'istituto dall'eccessiva incidenza delle sofferenze bancarie e dagli alti costi d'esercizio. Il Banco viene ricapitalizzato, con un significativo ingresso nel capitale sociale, dalla Regione Siciliana nel 1992 e nel 1997 acquisisce le attività e passività della Sicilcassa in liquidazione. Sempre nel 1997 entra nel capitale il Mediocredito Centrale, banca d'investimento allora di proprietà del Ministero del Tesoro. Con la privatizzazione, nel 1999, del Mediocredito, il Banco entra nell'orbita della Banca di Roma.

Nel 2002 il gruppo bancario viene riorganizzato: si fondono gli istituti preesistenti dando vita al gruppo Capitalia. Le attività bancarie vengono trasferite al Banco di Sicilia Spa, controllato al 100% da Capitalia Spa.

La fusione Capitalia-Unicredit, diventata operativa dal 1º ottobre 2007, ha portato a una nuova strategia. Il nuovo gruppo in Sicilia sarà presente con il marchio Banco di Sicilia e nel quale confluiranno tutti gli sportelli Unicred

2008-11-19

L'esercito dei 5.600 cervelli siciliani. Per docenti e tecnici di laboratorio una vita dedicata alla ricerca

Ogni anno in Sicilia un esercito di oltre 5.600 cervelli, tra docenti, ricercatori e tecnici di laboratorio, dedica alla ricerca complessivamente 32.353 mesi.
Altri 7.089 mesi vengono, invece, impiegati per trasferire le conoscenze tecnologiche dagli istituti di ricerca alle azienda.
Sono i dati che emergono dall'indagine sul Sistema innovativo siciliano (Sis), elaborata dall'Ipi, l'istituto di promozione industriale. L'indagine, presentata questa mattina a Palermo, si inserisce nell'ambito di Resint, il programma per la creazione di una "Rete siciliana per l'innovazione tecnologica", promosso dall'assessorato regionale all'industria e realizzato oltre che da Ipi (Istituto per la promozione industriale), anche da fondazione Censis e Unioncamere Sicilia.
Il panorama che emerge dall'indagine evidenzia una consistente presenza di risorse umane dedicate alla ricerca e al trasferimento tecnologico.
Nel complesso il numero di professori, dirigenti di ricerca e ricercatori è superiore a tremila; a questi vanno aggiunti 1.955 tra dottorandi e dottori di ricerca, assegnasti e titolari di altri borse di studio, e 624 tecnici di laboratorio.
Le strutture prese in considerazione dagli analisti dell'Ipi sono in tutto 270. Il 60% è rappresentato dai dipartimenti universitari e poco più del 30% da centri di ricerca pubblici o privati.
Il 72% delle strutture analizzate sono coinvolte in attività di ricerca di base, l'88% dichiara di svolgere attività di ricerca applicata e la percentuale sale fino al 93% se si considera la formazione rivolta a studenti e ricercatori.
A livello di province, a fare la parte del leone sono Palermo, Messina e Catania, le tre città siciliane dove si concentrano i poli universitari e i centri di ricerca.

Spaziando dalla biotecnologia alla meccanica avanzata, i progetti di ricerca censiti presso le strutture di ricerca sono in tutto 618. Di questi 353 sono finalizzati all'innovazione di prodotto, 297 all'innovazione di processo e 101 all'innovazione organizzativa e 66 all'innovazione di mercato.
I ricercatori sono al lavoro su progetti come strumenti oceanografici e di acustica marina, monitoraggio della produzione vitivinicola con reti wireless, riciclo meccanico del Tetrapak o sviluppo di un succo di limone funzionalizzato per la cura dei calcoli renali, solo per citare qualche esempio.
Elementi incoraggianti emergono, poi, analizzando i dati relativi a brevetti e spin-off. "Le strutture di ricerca, infatti - ha detto Valentino Bolic, direttore programmi comunitari dell'Ipi - sono sempre più interessate a generare brevetti e a dare vita a iniziative di spin-off. Si sono così rilevati 92 brevetti, per 22 dei quali è stato concesso l'utilizzo in licenza".
Il boom di brevetti è nei settori ad alta intensità tecnologica: l'Istituto di biomedicina e immunologia molecolare "A. Monroy" del Cnr ha depositato 12 brevetti, il dipartimento di chimica e tecnologie farmaceutiche dell'università di Palermo ne ha depositato 11, il dipartimento di ingegneria elettrica elettronica e dei sistemi (Diees) dell'università di Catania ha depositato 9 brevetti.
Buona anche la performance degli spin-off: 25 in tutto. "Si tratta - ha spiegato Giuseppe Roma, direttore generale del Censis - di un fenomeno in crescita, cui le università hanno dedicato impegno e risorse finanziarie e organizzative, con la costituzione di commissioni brevetti, l'attivazione di convenzioni con studi specializzati in proprietà industriale, l'accreditamento di start-up come spin-off universitari, nei quali l'università è parte della compagine societaria".

2008-11-16

Stragi ed eccidi dei Savoia


La massoneria siciliana, da anni, stava preparando la sollevazione antiborbonica. La rivoluzione borghese cominciò ben prima dell’arrivo di Garibaldi; L’isola godeva di un’ampia autonomia ed è sempre stata nelle mire inglesi data la sua posizione strategica nel Mediterraneo.

Grazie a Carlo Alianello siamo venuti a conoscenza di ciò che successe in Sicilia. Leggiamo a pag 193 de “ La conquista del Sud” (edito da Rusconi Editori) una sintesi degli avvenimenti descritti dalla “ Cronaca degli avvenimenti di Sicilia, dall’aprile del 1860 al marzo del 1861.” Crimini contro i cittadini, crimini contro chi era dell’apparato borbonico, contro chi aveva servito le istituzioni, contro di chi amava l’ordine, la giustizia, la legge.
Parlmerston, mandante del genocidio del Sud
Sin dal 12 gennaio del 1860 vi furono ribellioni guidate e sollecitate dall’alto. La morte di Ferdinando II e la giovane età del suo erede diedero un impulso decisivo alla famelica orda borghese che voleva tutto il potere politico, non volendolo più delegare ad alcuno. Cosa che i siciliani pagheranno poi a caro prezzo.
I capi della rivoluzione borghese siciliana avevano a Londra i loro agenti segreti in contatto col Primo Ministro di Sua Maestà, lord Palmerston; sicuri dell’appoggio inglese facevano promesse pubbliche e mietevano menzogne tra la popolazione per spingerla contro il Re Borbone.( Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie, Edizioni Brenner, Vol.I, pag. 153)



Iniziò così la rivoluzione siciliana. A maggio, quando Garibaldi arrivò il più era gia fatto. Iniziò con il pirata nizzardo l’orgia di sangue, la guerra fratricida fatta di eccidi e ritorsioni barbariche.

Cavour, Garibaldi, il Vittorione, Mazzini erano solo delle marionette nelle mani del primo ministro inglese, nelle mani cioè di colui il quale ha tramato e tessuto i fili della politica internazionale dei primi sessanta anni dell’800, Lord Parlmerston, appunto.

A Bronte, per mano di Nino Bixio, Garibaldi fece fucilare i contadini che avevano osato usurpare le terre concesse agli inglesi dai Borbone. Amico e servo dei figli d’Albione, assassino e criminale di guerra per aver fatto fucilare cittadini italiani.( Antonio Ciano, I Savoia e il massacro del Sud, Edizioni Grandmelò, Roma, 1996, pag. 56)
Sempre nel nome santo di Garibaldi.(Carlo Alianello, La conquista del Sud, Rusconi Editori, pag 195)
36 assassinati a Girgenti
<<>>(Carlo Alianello, La conquista del Sud, Rusconi Editori, pag 195)

Il deputato D’Ondes Reggio alla Camera, con rammarico accenna che cinque cittadini siano stati fucilati senza essere stati sottoposti a processo regolare, e tra le altre cose osserva:” Questi cinque di Castellammare saranno stati ribelli; almeno credo che tali saranno stati, perché appunto, non essendovi ancora giudizio, io non so che cosa veramente fossero…Quei cinque dovevano avere il tempo ed i mezzi per difendersi, dovevano essere giudicati da magistrati, quali dalla legge stabiliti…Poteva tra loro trovarsi un minore…coloro potevano essere innocenti…Signori, crudeli e feroci sono i selvaggi, i deboli, i timidi, gli improbi; ma i civili, i forti, i probi, i magnanimi, sono di sensi umani, vogliono la giustizia ed anche perdonano.”( Carlo Alianello, La conquista del Sud, Rusconi Editore, pag 198)
Nella stessa seduta Crispi aggiunge altre accuse per arresti arbitrari ed uccisioni, e, dopo di lui il deputato Cordova rivela cose allucinanti, abusi inauditi per una società civile; dice che negli uffici delle dogane in sicilia furono nominate persone idiote ed analfabete; dice che in Palermo i doganieri rubano, in Messina gli impiegati sono uccisi occupando il loro posto gli uccisori; dice che a Siracusa gli impiegati sanitari degli ospedali sono il quadruplo del numero degli infermi; dice che gli impiegati in Sicilia sono enormemente moltiplicati e, sotto questo aspetto, era assai migliore il governo borbonico, il quale per la Luogotenenza spendeva novecentomila lire meno del governo piemontese; dice che si danno tristissimi esempi al popolo e questo impara il male dai governanti. Per far denari, illecitamente gli impiegati al lotto inventano giuocate ideali; dice che a Marsala, come in tutti i paesi dell’Italia meridionale, essendovi dei renitenti alla leva viene bloccata la città da duemila soldati, comandati da un maggiore, che intima al municipio di consegnare gli sbandati…il sindaco protesta contro quel vandalismo, le proteste aggravano la situazione, si chiudono le strade di comunicazione, i commerci fermati, i contadini fermati e arrestati: ne furono imprigionati circa tremila, tolti ai loro lavori e gettati, come sacchi di paglia in una catacomba mai adoperata sotto i Borbone. Il maggiore, saputo che fu il prefetto, fu avvertito per far cessare quelle violenze, aumentò gli arresti, le minacce, le persecuzioni, le torture dei malcapitati, come se si vivesse ai tempi di Attila…l’atroce spasmo dei carcerati sotto terra, che esce come rombo apportatore della bufera, le strida di tanti bimbi che dimenandosi con le manine, cercano la madre che li allatti.
Questi fatti sono riportati dal giornale di Genova “ Il Movimento” del 21 settembre 1863 e che noi abbiamo ripreso a pag 199 del citato libro di Carlo Alianello. Noi Meridionali queste cose non le abbiamo dimenticate, la memoria storica sta tornando a rinfocolare la mente della gente del Sud.

Barbarie a Licata
Continua il deputato siculo D’Ondes Reggio, nella tornata del 5 dicembre del 1863 alla Camera dei deputati di Torino:” Devo esprimere a voi fatti miserandi e sui quali il ministero non accetta inchiesta. Eppure non si tratta di partiti politici; ma dei diritti,della giustizia e dell’umanità orrendamente violati! I siciliani non hanno mai avuto leva militare, e repugnano ad essere arruolati…il Governo ha fatto una legge eccezionale, che è eseguita con ferocia…il comandante piemontese Frigerio, il 15 di agosto del 1863, intima al comune di Licata, 22 mila abitanti, di far presentare entro poche ore i renitenti alla leva privando l’intera città di acqua, vieta ai cittadini di uscire di casa pena la fucilazione istantanea e di altre più severe misure.
A Licata vennero chiusi in carceri le madri, le sorelle, i parenti dei contumaci alla leva, sottoposti a tortura fino a spruzzare il sangue delle carni; uccisi i giovinetti a colpi di frusta e di baionetta; fatta morire una donna gravida!
Della stessa barbarie e degli stessi delitti si macchiarono i militari di Trapani, di Girgenti, di Sciacca, di Favara, di Bagheria, di Calatafimi, di Marsala e di altri comuni…un altro comandante piemontese dispone l’arresto di tutti coloro dai cui volti si sospetti d’essere coscritti di leva, e anche l’arresto dei genitori e dei maestri d’arte dei contumaci: questo avveniva a Palermo. Il prefetto, interpellato, rispose che nulla sapeva e nulla poteva.(Carlo Alianello, La conquista del Sud, Rusconi Editore, pag 200)
A Petralia una capanna fu circondata dalla truppa, non per prendere un coscritto ma per chiedere informazioni; gli abitanti erano tre, padre, figlio e figlia, furono bruciati vivi per non aver voluto aprire!( Carlo Alianello, Ibidem, pag. 301)

A palermo volevano far parlare i muti
Un ragazzo di Palermo, conosciuto da molti in città per il suo handicap, rinchiuso nell’ospedale e stimmatizzato con 154 ferite fatte da ferro rovente; la madre potrà finalmente vedere suo figlio, inzuppare un fazzoletto nel sangue di lui, dargli un po’ di pane perché lo avevano affamato (Carlo Alianello, Ibidem, pag.201)- dice D’Ondes Reggio alla Camera- volevano che parlasse, magari che dicesse dove fossero gli amici della sua età. Il ragazzo era muto dalla nascita. I piemontesi volevano fare il miracolo, quello di farlo parlare, usarono la tortura, botte da orbi, ma niente.
Italia, Italia!
Le atrocità commesse in Sicilia e nei territori delle Due Sicilie durarono almeno fino al 1872. Nella tornata del 7 dicembre del 1863, il deputato Nocedal, alle Cortes di Spagna, il parlamento di Madrid, arringa contro il Piemonte, contro le barbarie che giornalmente vengono commesse contro la popolazione delle Due Sicilie: “ L’Italia è diventata campo vastissimo di esecrabili delitti; l’Italia paese classico di imperiture memorie, dove oggi giacciono prostrati al suolo e conculcati tutti i diritti; l’Italia, dove per sostenere quanto gli usurpatori hanno denominato liberalismo, si stanno sbarbicando dalle radici tutti i diritti manomettendo quanto vi ha di più santo e di sacro sulla terra…Italia,Italia! Dove sono devastati i campi, incenerite le città, fucilati a centinaia i difensori della loro indipendenza”(Carlo Alianello, La conquista del Sud, Rusconi Editori, 1972, pag 207)

1866, rivolta di Palermo
Il 1° di agosto del 1866 un comitato segreto organizzò un’insurrezione contro il Piemonte. IL 15 settembre insorse la città di Monreale al grido di “ Viva Francesco II”. I siciliani, spremuti dalle tasse, massacrati dalle fucilazioni, umiliati nel loro orgoglio si accorsero ben presto che ai gattopardi si erano sostituite iene fameliche, assassini e mafiosi e si ribellarono. La guarnigione piemontese della cittadina siciliana fu messa in fuga con perdite considerevoli. Nella notte tra il 15 ed il 16, nel quartiere Porrazzi, una pattuglia di carabinieri veniva presa a fucilate: tre militi uccisi, ed erano solo i primi. La rivolta del 1866 era iniziata…( Mario Spadaro, I primi secessionisti, Controcorrente, Napoli, 2001, pag.112)
Il giorno successivo insorsero Palermo, Bagheria, Misilmeri, Piana dei Greci, Parco, Portella della Paglia e Boccadifalco: furono assaltate tutte le caserme e catturate le armi. I piemontesi furono costretti a fuggire lasciando sul selciato morti e feriti; il popolo stava vendicando i lutti e i torti commessi dall’esercito invasore piemontese. Si ripristinarono gli stemmi borbonici ed innalzate barricate dappertutto. Un battaglione di granatieri sbarcato a Messina fu letteralmente fatto a pezzi e i cadaveri appesi ai lampioni. Si combattè ferocemente all’Ucciardone, al Castello di mare e al Palazzo Reale dove i piemontesi si erano rifugiati. Il giorno 17 insorsero Villabate, Torretta, Montelepre, Lercara Friddi, Castellaccia, Santa Flavia, Marineo, Recalmuto, Aragona, Termini Imerese, San Martino delle Scale, Corleone e Prizzi. Dappertutto venivano inalberate le insegne borboniche.
A Orcaro i corpi di tre militari, denudati e mutilati, furono trascinati nelle strade e poi abbandonati fra i rifiuti. Quattro carabinieri, agli ordini del brigadiere Taroni si suicidarono gridando “Viva l’Italia” per non cadere nelle mani dei ribelli…a Misilmeri un assalto guidato da Francesco e Cosimo Lo Bue ebbe come risultato la morte di 31 carabinieri: si disse poi che i loro corpi, fatti a pezzi, erano finiti nelle macellerie…( Mario Spadaro, I primi secessionisti, Controcorrente, Napoli, 2001, pag.113. Vedi pure il libro di Lucy Riall Sicily and the unification of Italy, a pag 315 e 316 dove sono riportati i rapporti inviati dai comandi locali dei carabinieri)…si videro in città le prime barricate mentre arrivarono nuove ondate di ribelli dalle campagne…fu occupato il tribunale e qualcuno, con un penello restituì al Cassaro e al Foro Borbonico ( che i piemontesi avevano ribattezzato Corso Vittorio Emanuele e Foro Italico) i loro vecchi nomi. Una dopo l’altra le caserme dei carabinieri caddero in mano ai rivoltosi…in poche ore i ribelli, al grido di “ Viva Palermo, Viva Santa Rosolia!” si impadronirono della città…( Mario Spadaro, I primi secessionisti, Controcorrente, Napoli, 2001, pag. 114)
La rabbia dei siciliani era pari a quella dei giorni dei Vespri, forse addirittura superiore. I polentoni del Nord avevano strapazzato l’economia dell’Isola e le libertà dei cittadini. Le strade erano piene di ritratti di Vittorio Emanuele II e Garibaldi calpestati e dati alle fiamme.( Mario Spataro, I primi secessionisti, Controcorrente, Napoli, 2001, pag 116)

Il 18 mattina sbarcarono dalla nave Rosolino Pilo mille soldati piemontesi al comando del capitano Acton che partendo da corso Scinà raggiunsero Via Maqueda e Piazza Sant’Oliva dove furono assaliti all’arma bianca da migliaia di uomini e a stento i militi savoiardi riuscirono a salvarsi scappando verso il mare. A Messina il giorno 20 settembre , sbarcarono truppe savoiarde per sedare i disordini, furono sconfitte e dovettero ripiegare. Il 21 settembre Palermo fu accerchiata dal generale Augusto Riboty con truppe fatte sbarcare da navi provenienti da tutta Italia, fu bombardata pesantemente dalle batterie di sei fregate e due corazzate. I morti non si contarono. Il vigliacco ammiraglio Persano, reduce da Lissa dove aveva perso l’onore di fronte alle navi austriache, pensava di recuperarlo bombardando Palermo indifesa. Altre truppe sbarcarono da altre navi colà giunte.

Il 22 settembre cominciò ad attuarsi la repressione feroce del generale massone Raffaele Cadorna, nominato “ regio commissario con poteri straordinari” con l’incarico, affidatogli per lettera dal presidente del Cosiglio Bettino Ricasoli, di “ ristabilire la pubblica sicurezza.( Mario Spataro, I primi secessionisti, Controcorrente, Napoli, 2001, pag. 119( quante strade sono intitolate a questo assassino?). Le barricate furono smembrate dalle cannonate piemontesi, in un sol giorno i morti superarono le duemila unità e i prigionieri furono circa 3.600. L’acqua fu avvelenata ed imputridita; i morti salirono spaventosamente di numero. L’occupazione di Palermo da parte del generale Cadorna fu come occupazione di città nemica, si sparava a vista su qualsiasi passante. Un ufficiale del 10° granatieri, tale Antonio Cattaneo, fece fucilare due frati che lo disturbavano suonando le campane, come fu fucilato uno storpio che infastidiva un ufficiale; finì in galera il vescovo di Monreale, il coltissimo Benedetto D’Acquisto. Tutte le case dei palermitani subirono rapine. I saccheggi e le ruberie erano cosa usuale per quella truppa di assassini e ladri. Si fucilò per mesi, fino al febbraio del 1867. La popolazione fu costretta ad assistere al passaggio di colonne di detenuti in catene spinti a calci e bastonate verso i luoghi di detenzione.(Nazione Napoletana, Anno III, Numero 15, settembre 1998, pag 15)
Ecco come lo storico siciliano Mario Spataro ci racconta l’efferatezza di questo generale piemontese:”…Cadorna saziò la propria voglia di vendetta proclamando lo stato d’assedio ( il terzo in quattro anni!), accanendosi contro la popolazione e mostrando particolare ferocia contro il clero” la nefanda setta clericale” era solito dire…espropriati i monasteri e i conventi, il regio commissario soppresse nell’isola le 1027 corporazioni religiose superstiti e spedì in galera i sacerdoti e i frati che, sfuggiti alle fucilazioni, non avevano fatto in tempo a nascondersi. Finì in carcere persino il vescovo di Monreale, il novantenne Benedetto d’Acquisto e con lui 47 religiosi di Palermo, 46 di Siracusa, 40 di Girgenti, 26 di Caltanissetta, 18 di Massina. Nessun arresto di religiosi a Catania e a Trapani grazie al netto rifiuto opposto dai prefetti delle due città…il console francese De Sénevier, fece giungere a Cadorna un appello di clemenza. La stampa estera, in particolare i parigini Moniteur e Gazzette de France, si schierò apertamente dalla parte dei ribelli e parlò di sacrosanto moto indipendentista. La flotta inglese, nei giorni della rivolta, incrociò al largo di Palermo pronta, se si fosse risolta a favore dei ribelli, ad approfittare delle circostanze e stabilire nell’isola un governo provvisorio protetto da Sua Maestà britannica.”.( Mario Spataro, I primi secessionisti, Controcorrente, Napoli, 2001, pag 120)
Napoleone Colajanni, grande anima del Sud, storico intransigente ed oculato ci ha lasciato uno spaccato convincente su quei fatti e sul ruolo di casa Savoia nell’occupazione del Meridione:”…Il governo, l’ente continuativo che ha rappresentato l’Italia sotto la dinastia sabauda fallì completamente allo scopo in Sicilia e in tutto il Mezzogiorno. Il compito era relativamente facile; infondere in tutti la convinzione che in un libero regime l’impero della legge non pativa eccezioni e che la giustizia uguale per tutti era una realtà. Era il solo modo di distruggere la mafia, eliminandone la ragione di essere.
Il governo italiano venne meno a questo suo alto compito e sin dai suoi primi atti pare che abbia assunto in Sicilia quello di distruggere tutte le illusioni sorte nell’animo dei liberali e dei cittadini alieni dalla politica, ma che amavano il quieto vivere, la sicurezza e il retto fondamento delle leggi.
Coloro che dovevano essere i restauratori della legge, i promulgatori di libertà, gli educatori nell’alto senso della parola cominciarono coll’alienarsi la simpatia e la fiducia delle masse che si videro trattare con disprezzo come appartenenti ad una razza inferiore e conquistata. Il pensiero era nell’animo della grande maggioranza dei funzionari inetti e disonesti - il rifiuto dell’antico Regno di Sardegna, la schiuma dei parvenus e degli imbroglioni, che si gabellarono per patrioti per acchiappare un posto - che piovvero in Sicilia fu formulato esplicitamente con soldatesca brutalità dal generale Govone che l’Isola solennemente proclamò barbara.
…la Sicilia da secoli non era sottoposta alla coscrizione militare obbligatoria; e l’odiava. Quando fu fatta la prima leva sotto i sabaudi, perciò, molti coscritti non risposero all’appello. Il governo con ferocia senza pari dà loro la caccia come a belve e ad incivilire i barbari manda ufficiali che assassinano i cittadini soffocandoli col fumo, come i francesi avevano incivilito i barbari della Kabilia, e rimettono in onore la tortura per far parlare i sordomuti, assaltano di notte le città a suon di tromba, le cingono d’assedio e le privano d’acqua!…
<<…Ci vuole poca intelligenza ad indovinare che questi inizi del governo italiano dovevano condurre a risultati disastrosi. Infatti resero odiosi o antipatici alle popolazioni i settentrionali in generale e resero più che mai forte il regno della mafia: dalla mafia ch’era uscita rinvigorita dai moti del 1860, come dissi, per l’aureola di patriottismo e di liberalismo acquistatasi battendosi valorosamente sotto gli ordini di Garibaldi. <<>>.( Napoleone Colajanni, La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi)
Il 3 di agosto, a Palermo, venne ucciso da emissari piemontesi il generale garibaldino Giovanni Corrao. Aveva cominciato a rendersi conto che i piemontesi tiranneggiavano la sua isola come mai era successo con le altre dominazioni. Troppo tardi. I soprusi continuarono, la gente imprigionata e fucilata senza processo, scannata dal potere più che mafioso dei piemontesi. 

I fasci siciliani, un’ecatombe di morti
La rivoluzione liberale di Cavour e l’Italia una diedero potere e terre ai notabili dei paesi e delle città del Nord e del Sud. Le terre demaniali ed ecclesiastiche furono praticamente trafugate dai cosiddetti galantuomini mettendo sul lastrico una miriade di braccianti, coloni, carbonai, bottegai ed artigiani. La politica colonialista ed espansionista savoiarda aveva bisogno di introiti certi che il popolo doveva pagare. Le tasse erano diventate esose, la politica liberal-massonica stava strangolando i ceti più deboli. In Sicilia e nei territori dell’ex Regno Felice le condizioni di vita peggioravano anno dopo anno; l’emigrazione cominciava a far sentire i suoi effetti devastanti per la continua emorraggia di braccia umane; i ceti più deboli, al limite della sopportabilità, cominciarono ad associarsi. Nel 1892 in Sicilia nacquero spontaneamente movimenti di contadini, commercianti, artigiani e piccoli proprietari strozzati dai latifondisti. Erano sorti i cosiddetti fasci dei Lavoratori Siciliani i cui componenti erano cattolici che non disdegnavano idee socialiste. La scintilla scoppiò a Caltavuturo dove una sola persona possedeva seimila ettari di terreno molti dei quali probabilmente sottratti al demanio pubblico. Il 20 maggio del 1893 i contadini, dopo aver reclamato i loro diritti passarono ai fatti, volevano riprendersi le terre che un tempo appartenevano alla collettività. Circa 500 contadini organizzati uscirono da Caltavuturo per dare luogo all’occupazione delle terre. Ad aspettarli vi erano i soldati savoiardi; senza esitazione spararono sui dimostranti, i morti furono 11 e i feriti circa 40. Il 10 dicembre dello stesso anno la repressione divenne eccidio:”… a Giardinello in provincia di Palermo le guardie comunali spararono sui cafoni, i morti furono una decina e ferendone moltissimi; altri morti a Lercara( Palermo), a Gibellina( Trapani), a Santa Caterina Villermosa ( Caltanissetta) e in molte altre località…il 3 gennaio del 1894 Francesco Crispi proclamò lo stato d’assedio in tutta la Sicilia, e il generale Roberto Morra ristabilì finalmente l’ordine con tanti morti sulle strade e sulle piazze di tanti paesi; inoltre furono da lui arrestati e deferiti ai tribunali militari circa duemila cittadini…”( Gerlando Lentini, La bugia risorgimentale, Il Cerchio, 1999, pag. 81)
I siciliani veri seppero così di chi era servo il Crispi. I Savoia pagheranno a caro prezzo quei morti, coloro che si sono arricchiti con la rivoluzione liberale di Cavour restituiranno il maltolto, è solo questione di tempo.
La tassa sul macinato, 250 morti
I Savoia hanno nel DNA della razza l’assassinio di Stato, le stragi di innocenti, l’odio contro le masse lavoratrici. Il 5 gennaio del 1869 Vittorio Emanuele II firmava un decreto col quale affidava al bombardatore di Palermo di tre anni prima “ …l’incarico di ristabilire l’ordine nelle province di Bologna, Parma, e Reggio Emilia”. ( Gerlando Lentini, La bugia risorgimentale, Il Cerchio, Rimini, 1999, pag. 51)
I Savoia, consci che l’Italia stava precipitando nel baratro del deficit pubblico, dovevano mettere a ferro e fuoco anche qualche regione del Nord, quella volta toccò all’Emilia Romagna i cui contadini si ribellarono alla fame prodotta dalla tassa sul macinato voluta dal biellese Quintino Sella per portare il bilancio dello Stato a pareggio. I contadini affamati scesero in piazza non solo nelle ex legazioni pontificie ma in tutta Italia. La repressione del criminale Cadorna fu spietata e dura, in Emilia si contarono 21 morti e 35 feriti; in tutta Italia i morti furono 250 e circa mille i feriti; gli arrestati furono circa 4000.( Gerlando Lentini, Ibidem, pag. 51)
Le conclusioni della commissione d’inchiesta sui casi delle province dell’Emilia in occasione delle rivolte dovute alla fame procurata dalla tassa sul macinato riferite dal supplemento al n.257 della <> del Regno d’Italia del 20 settembre del 1869:”…Alla commissione verrebbe a risultare di 26 morti e 40 feriti fra i contadini e di 13 feriti tra i militari, in tutto quel tristo periodo dal primo dell’anno al 14 febbraio che accadeva la scena sanguinosa di Piano del Voglio. Gli arresti furono però eseguiti su vastissima scala; 1127 nel solo circondario di Bologna, dei quali 723 per ordine dell’autorità politica o militare e 404 per ordine dell’autorità giudiziaria…e dopo gli arresti vennero i processi, dei quali a Bologna 44 con 730 imputati, a Parma 35 con 605 imputati,32 a Reggio Emilia con 520 imputati, 5 a Modena con 70 imputati e 6 a Borgotaro con 101 imputati, . ai quali aggiunti i due processi di Ferrara pei fatti di cento e Pieve e Pieve di Cento con 55 imputati, si ha un totale di 129 processi con 2226 imputati. Degli imputati su 2172 si hanno anche le qualità, e sono proprietari 108, artigiani 261, mezzaioli 569 e 1234 braccianti e giornalieri…”
Tutti si erano rivoltati contro la tassa, tutti contro lo Stato dei Savoia assassini, e non solo nell’Emilia allora povera e schiava dei liberal-massoni, schiava dello strapotere liberista.La nostra repubblica è nata il 2 giugno del 1946, sulle ceneri della monarchia sabauda e del fascismo. Non riusciamo a capire come e perchè le nostre strade debbano ancora oggi portare i nomi di quegli assassini che ci invasero, che fucilarono i nostri avi. Sindaci del Sud, ribellatevi, cancellate i nomi dei monarchici e dei massoni, quelli dei liberali che eccidiarono il sud. E’ nelle vostre facoltà


2008-10-06

Contrasti nord sud

Diffidenze o, addirittura, contrasti nascono dalle differenze. Mi pare che dopo la formazione dello stato unitario le tappe di un progressivo allontanamento tra nord e sud Italia siano 3.

1) La "Campagna contro il brigantaggio"

Le fortunate operazioni militari del 1860 diedero allo schieramento filo-unitario egemonizzato dai piemontesi di Cavour il controllo delle principali città e piazzaforti militari del Regno delle due Sicilie, ma dopo la fuga di Francesco II e la proclamazione del Regno d'Italia le ostilità continuarono in gran parte del meridione dove le zone rurali rimanevano saldamente fedeli a Francesco II in esilio a Roma. Numerose furono le insurrezioni contro i "piemontesi" e migliaia di ex soldati borbonici si diedero alla macchia iniziando una guerriglia che durerà circa 10 anni. Il nuovo governo italiano reagì con fermezza inviando truppe che applicarono spesso la tattica della terra bruciata facendo pagare un prezzo durissimo alle popolazioni civili ritenute fiancheggiatrici dei rivoltosi. Ci furono anche rappresaglie e veri e propri massacri indiscriminati. La situazione precipitò dopo l'approvazione di leggi speciali che di fatto consentivano l'arresto, la tortura e l'esecuzione senza processo persino dei parenti dei "briganti".

Numerose le cittadine del sud rase al suolo (con i rispettivi abitanti) dall'artiglieria ma le cronache tramandano anche episodi molto più efferati .

Alla fine il brigantaggio (o, se preferite, la guerriglia) venne sconfitto ma dieci anni di conflitto lasciarono come eredità un rancore che durerà sino alla prima guerra mondiale.

2) Una netta separazione tra nord e sud venne di nuovo a crearsi durante la seconda guerra mondiale.

Nella loro offensiva contro la Germania gli alleati si preoccuparono di occupare la parte "utile" dell'Italia ovvero quel meridione il cui controllo assicura il controllo sul Mediterraneo e sulle rotte navali. Accadde così che dopo gli sbarchi e la caduta del fascismo l'Italia meridionale in cui la guerra era cessata venne amministrata da una monarchia sostenuta dagli anglo-americani mentre nel nord del paese, occupato dai tedeschi, divampava la Resistenza. Due anni durante i quali i destini degli italiani si divisero profondamente, divisione accentuata anche dal fatto che nella zona da loro controllata gli angloamericani contrastarono duramente le formazioni della sinistra italiana che pure guidavano la resistenza al nord.

Dopo il 25 aprile ci si trovò quindi davanti ad un paese già spaccato in due con comunisti e socialisti forti e radicati al nord e quasi inesistenti al sud.

3) Il '68

Considerato tappa fondamentale nella modernizzazione e laicizzazione della società italiana fu in realtà fenomeno che interessò esclusivamente il centro-nord. A sud di Roma fu praticamente sconosciuto e, dato che i media dell'epoca non ne parlavano, i meridionali scopriranno quanto avvenuto solo 15-20 anni più tardi.

Non meraviglia quindi che nel 1974 il sud ancora fortemente clericale votasse in massa per l'abolizione del divorzio considerato in quelle regioni un'aberrazione da proibire per legge.

Insomma i libri di storia ci dicono che gli italiani si sono battuti per unificare il paese, che l'Italia è stata in guerra dal 1940 al 1945, che il paese si è ribellato contro i tedeschi e che anni dopo, raggiunto il benessere, si è scrollato di dosso retaggi clericali incompatibili con la società moderna.

Ma questa in realtà non è la storia d'Italia, è la storia del nord Italia
RESISTENZA NEL SUD ITALIA